Fabbriche, ristoranti, bar, librerie, parrucchieri, spiagge e discoteche – tutti riaprono. La ricerca no

di Peppe Nanni, a commento di un intervento di Salvatore Settis
(1.8.2020)

“Le fabbriche (ri)aprono, le università no. Ristoranti, bar, librerie, parrucchieri, negozi di abbigliamento eccetera riaprono, biblioteche e archivi no. Spiagge, parchi e località di montagna riaprono, la ricerca no.Non è alla lettera così, ma quasi”.

Questo l’incipit di una autorevole presa di posizione di Salvatore Settis contro la didattica a distanza, complice un pregiudizio, inconsciamente dilagante, che considera la scuola un’attività improduttiva e che quindi può aspettare sine die la riapertura, surrogata da spot a distanza. Ma, – dice Settis – così si dimentica che non ci sarebbero le fabbriche senza i luoghi di ricerca dove si progetta quel che viene costruito.

Peccato solo che un così convincente e stringente ragionamento si esponga al rischio di incrinarsi, non esplicitando il passaggio logico successivo, quando Settis scrive:

“Gira una conspiracy theory secondo cui l’università in presenza verrà presto sostituita da reti virtuali, lezioni registrate, professori e studenti a casa in ciabatte, senza far comunità. Occulti controllori delle coscienze starebbero manovrando per narcotizzare la vocazione critica dell’università come comunità pensante, e dunque focolaio di ribellione, un perpetuo Sessantotto che cova sotto la cenere. Fantasie, queste, coltivate da pochi […]“.

Se la riserva esprime il rifiuto a credere che quanto accade sia l’esecuzione di un ordito perfettamente preordinato da menti raffinate, nulla quaestio, siamo d’accordo che l’intelligenza scarseggia anche tra le fila dei cattivi.

Ma è invece utile ribadire, a scanso di equivoci, che sì, l’università deve essere un focolaio di ribellione e un perpetuo Sessantotto, altrimenti è un attrezzo inutile e può essere sostituita da corsi nozionistici di avviamento al lavoro servile, da tenersi a debita distanza. Perché la funzione intellettuale consiste esattamente nella contestazione permanente “dell’attuale stato di cose”, nell’attrito contro la quiete sociale, dal quale scaturisce l’avanzamento del sapere per rottura epistemologica, contro la ripetizione dell’identico, della rassegnazione codificata in proverbi e delle ingiustizie strutturali.

Che anche l’innovazione tecnologica e la dinamica delle forme di produzione siano necessariamente alimentate dalla coltivazione della radice conflittuale del sapere (che costringe la razionalità economica a rinnovarsi), costituisce un motivo in più per ricordare che professori e studenti, casalinghi e in ciabatte, narcotizzati e spoliticizzati, non raggiungeranno mai quella soglia che Walter Benjamin invitava a varcare, verso la comunità studiosa costituita dall’”Eros di coloro che creano”.

E l’attacco di Salvatore Settis alla vigliaccheria accademica converge in questa direzione.

L’intervento integrale di Settis è a questa pagina:
https://www.centroriformastato.it/wp-content/uploads/Universit%C3%A0-chiuse.pdf