Università, una paura studiata

di Alejandro Nanni, studente
(1.12.2020)

Oggi mi è successa una cosa molto sgradevole: finalmente – per così dire – ci ridanno la possibilità di muoverci di casa e in particolare gli studenti del primo anno della mia facoltà possono tornare in università. Bellissima notizia che mi ha migliorato la giornata ma evidentemente non per tutti i miei compagni è stato così…
Durante la giornata un professore ci invia una mail dove dice che o andiamo tutti in presenza o il suo corso sarà tenuto interamente online. A questo punto convochiamo un’assemblea tra studenti per decidere cosa rispondere alla suddetta mail. Molti anzi quasi tutti continuavano a dire che loro NON potevano andare in presenza perché essendo fuori sede prendere il treno con tutti gli assembramenti e gente che non indossa le mascherine ( classica scusa per dire che vogliono starsene a casa) sarebbe troppo rischioso.

Subito ho avuto la sensazione che la gente inventasse scuse (parenti malati o immunodepressi inclusi) perché a loro piace la quarantena (in un secondo momento un ragazzo lo ha pure ammesso). Per molti giovani questa condizione è comoda e bella, e  io non riesco davvero a capire. Ho dovuto inimicarmi molte persone nell’affermare che non aveva senso continuare con questi falsi timori anche perchè non sappiamo quanto andrà avanti questa situazione e tra tre mesi prendere il tram o il treno comporterà lo stesso “rischio”. E ho domandato se allora la loro intenzione era farsi tutto il primo anno chiusi in casa e la risposta è stata che tutto dipende da come si evolveranno le cose – o meglio da come vorranno mostrarci i dati, siccome per queste persone che gridano alla pericolosità del virus se i contagi si riducono allora non è più pericoloso-.

La loro richiesta finale è che il professore conceda sia di andare in presenza sia di restare a casa per chi non se la sentisse siccome il nuovo regolamento lo prevede. Aspetterò risposte dal professore ma spero solo che la mia libertà e diritto di fruire di un tipo di didattica, che davvero mi lasci qualcosa e non che mi tenga attaccato a uno schermo per 8 ore al giorno, sia messa a rischio per delle persone che vogliono rimanere in pigiama o hanno paura di una malattia che ormai è davvero solo un’influenza.

P.s. questi soggetti si lamentano anche che il professore pretenda che le webcam siano accese – per evitare di fare lezione a un muro ovviamente – affermando che è un loro diritto tenerle spente dato che è scritto nelle sacre tavole del regolamento universitario

 

Quanto riferisce Alejandro Nanni mi amareggia ma non mi stupisce.
Dal dialogo che ho costantemente intrattenuto in questi mesi con gli studenti, da quello che ho fatto e visto, emergono le stesse impressioni, azioni, motivazioni. Si tratta di una pericolosa dinamica di rinforzo negativo: l’istituzione scoraggia gli studenti dal frequentare gli spazi degli Atenei e poi giustifica la chiusura ulteriore di tali spazi con il fatto che pochi studenti li frequentano. Da parte loro, molti studenti giustificano la propria assenza con il fatto che i professori preferiscono svolgere lezione da casa. Il risultato è che un luogo grande, splendido e vivacissimo come il Monastero che a Catania è sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche rimane spettralmente vuoto.
E però…durante la settimana di lauree a distanza ho visto studenti che subito dopo la ‘proclamazione’ via monitor, sono venuti abbigliati di tutto punto insieme ai loro parenti e amici per scattare delle foto all’ingresso del Dipartimento, come ultimo, struggente e disperato segno di una presenza negata ma ancora evidentemente desiderata.
Alberto Giovanni Biuso, docente universitario