di Alessandro Pluchino
(4.11.2020)
Ad aprile, all’apice della “prima ondata” di Covid-19 in Italia, avevo coniato l’espressione “epidemia quantistica” per riferirmi al seguente, strano, fenomeno. Nei mesi di gennaio e febbraio 2020, quando ancora il virus cinese sembrava lontano ma invece – ormai lo sappiamo – c’erano già migliaia di contagiati in giro per la Lombardia (e dunque – visto che non c’erano restrizioni di mobilità – probabilmente anche nel resto del paese), non si è avuta notizia di alcun assalto ai pronto soccorso e le terapie intensive non registravano alcuna emergenza. Poi, improvvisamente, da quando è scoppiato il caso del (presunto) paziente 1 di Codogno e si sono cominciati a fare migliaia di tamponi, tutto è improvvisamente cambiato. Dunque, come in fisica quantistica, sembrava che l’osservazione avesse plasmato la realtà e che l’epidemia avesse cominciato a mostrare i suoi effetti solo quando noi avevamo cominciato a misurarli.
Oggi, a sei mesi di distanza e all’inizio della famigerata “seconda ondata”, abbiamo molti dati ed elementi di riflessione in più, ma lo spettro dell’epidemia quantistica sembra non essere stato affatto scacciato. Anzi.
Ad inizio ottobre l’OMS ha reso pubblico il risultato di uno studio secondo il quale il 10% della popolazione mondiale, ossia ben 750 milioni di persone, potrebbe essere stato contagiato dal Covid-19. Dunque 20 volte di più dei 35 milioni di casi complessivi ufficialmente accertati a livello planetario. Se questi numeri fossero veri – e non abbiamo motivo di dubitare delle stime dell’OMS – la letalità del Covid-19 (cioè il rapporto tra il numero di decessi e il numero dei contagiati), e quindi la sua pericolosità MEDIA, diventerebbe confrontabile con quella dell’influenza stagionale, ossia dell’ordine dello 0,1% – ovvero dell’uno per mille. Ammettiamo per un attimo che sia davvero così. Perché allora in primavera sembrava che le strutture sanitarie stessero avviandosi al collasso e adesso sembra riproporsi lo stesso scenario, laddove questo non accade ogni anno con l’influenza stagionale?
La spiegazione potrebbe risiedere proprio nel martellamento mediatico che, a partire dalla fine di febbraio, ci propone giornalmente dei veri e propri bollettini di guerra, amplificando qualunque informazione riguardi il Covid-19 e minimizzando tutto il resto. Non sarebbe la prima volta che pressioni di questo tipo, anche molto meno invasive, avrebbero provocato reazioni note agli psicologi e ai sociologi come fenomeni di “isteria collettiva” o “isteria di massa”: “l’isteria di massa è un fenomeno psicosociologico che riguarda il manifestarsi degli stessi sintomi isterici in più di una persona. Un semplice esempio di isteria di massa è quello di un gruppo di persone convinto di essere affetto dalla stessa malattia o disturbo. La storia umana ha registrato un numero consistente di casi in ogni angolo del pianeta. Il fenomeno dell’isteria collettiva potrebbe sembrare andare in contrasto con una società sempre più istruita, che non crede più a uteri vaganti, a possessioni diaboliche e alla stregoneria. Eppure, episodi del genere continuano a verificarsi, il più recente dei quali è stato registrato nel 2012, quando 1900 bambini di 15 scuole dello Sri Lanka hanno cominciato a manifestare una serie di sintomi tra cui eruzioni cutanee, vertigini, e tosse, che non avevano evidenti cause fisiche. Sebbene i casi di isteria collettiva possono essere facilmente derubricati come ridicoli o semplici comportamenti bizzarri, la ricerca ha dimostrato che esistono una serie di fattori che possono contribuire alla formazione e alla diffusione del fenomeno, comprese ansie sociali, pressioni culturali, paure o eccitazione, o stress estremo. Anche se i contesti sociali, politici e culturali sono cambiati nel corso dei secoli, la psicologia umana è rimasta sostanzialmente la stessa, ed è per questo motivo che, prima o poi, assisteremo a nuovi casi di isteria collettiva.” (U. Gaetani, Gli strani casi di “isteria di massa” registrati nel corso della storia).
Stiamo forse assistendo anche oggi, “mutatis mutandis”, a qualcosa di simile?
In che misura potrebbe aver ragione il virologo Giorgio Palù quando avverte “Basta con l’isteria”?
MEGLIO CHIARIRE SUBITO CHE, OVVIAMENTE, NON STIAMO IN ALCUN MODO NEGANDO (e tantomeno lo fa Palù) CHE CI SIA STATO, E CI SIA ANCORA, UN NUOVO VIRUS IN CIRCOLAZIONE E NON STIAMO CERTO DICENDO CHE CHI SI AMMALA SAREBBE UN MALATO IMMAGINARIO. TUTT’ALTRO!
Ricordiamoci infatti che stiamo partendo dall’assunzione che abbia ragione l’OMS e che ci siano MOLTI, MA MOLTI più contagiati nel mondo, e quindi anche in Italia, di quelli che siamo riusciti a tamponare. Estrapolando le stime dell’OMS, nel nostro paese dovrebbero esserci milioni di contagiati, molti di più dei circa 680.000 casi registrati fino ad oggi, di cui peraltro – come sottolinea anche Palù – la stragrande maggioranza (si parla del 95%) è costituita da asintomatici. Del resto anche l’ISTAT, ad agosto, aveva confermato che ci sono almeno un milione e mezzo di italiani con gli anticorpi del Covid-19. E questo dato sarebbe in linea con i numeri dell’influenza stagionale, che ogni anno – nonostante la possibilità di proteggersi col vaccino – fa registrare dai 6 agli 8 milioni di casi (e comunque miete anch’essa migliaia di vittime, dirette o indirette).
Se dunque il numero di casi e le letalità sono confrontabili, a nostro parere la differenza fondamentale tre le due epidemie, in termini di pressione sulle strutture sanitarie, sta nel fatto che le informazioni sull’influenza stagionale non sono affatto amplificate dai media e la popolazione non viene terrorizzata e spinta a recarsi nelle strutture sanitarie all’apparire di sintomi anche minimi. Tra gennaio e febbraio 2020 (quando i sintomi influenzali, evidentemente anche da Covid, già si manifestavano ma si pensava di avere a che fare con una “semplice” influenza stagionale) i cittadini che pressavano i pronto soccorso venivano infatti invitati a restare a casa. Da marzo in poi, invece, una volta scoppiato ufficialmente l’allarme Covid in Lombardia, i contagiati da coronavirus – non solo quelli davvero a rischio (principalmente anziani con patologie pregresse), ma anche quelli che manifestavano sintomi minimi, probabilmente anche in preda a forme isteriche di terrore sempre più alimentate dai continui bollettini di guerra mediatici – hanno cominciato ad affollare senza alcun freno le strutture ospedaliere della regione, rischiando di farne provocare il collasso e spingendo il governo nazionale (contro il parere della commissione tecnica, che aveva consigliato di chiudere solo alcune regioni del nord) ad imporre un lockdown nazionale a scopo preventivo.
Oggi stiamo ritornando a parlare di lockdown sotto la minaccia di un nuovo rischio di collasso degli ospedali. Ma c’è il sospetto che potrebbe trattarsi della manifestazione del medesimo effetto osservato in primavera, reso ancor più cronico da mesi di pressioni mediatiche e dal numero sempre maggiore di tamponi che pescano in un mare di contagiati molto più vasto di quello che – nonostante le rivelazioni dell’ISTAT e dell’OMS – ci viene ancora ufficialmente raccontato. Come scrive Marco Travaglio nel suo editoriale sul “Fatto Quotidiano” del 1 novembre, ciò che può mandare in tilt gli ospedali non sono le richieste di terapia intensiva, che adesso sono molto più distribuite sul territorio rispetto alla prima ondata, ma i ricoveri ordinari. Sempre più persone si recano nelle strutture ospedaliere con sintomi lievi, o addirittura senza sintomi ma solo per farsi il tampone con l’incubo di essere state contagiate. E, paradossalmente, se vengono trovate positive, gli ospedali hanno interesse a tenersele strette perché, come spiega l’ex direttore della Protezione Civile Guido Bertolaso, ricevono 2000 euro al giorno per ogni paziente Covid.
Insomma, mentre l’economia cola a picco e migliaia di piccole imprese e attività commerciali, soprattutto in settori critici come quelli della ristorazione, del turismo o della cultura, rischiano di essere definitivamente spazzati via dalla minaccia di nuovi lockdown, sembra che il sospetto di un’epidemia quantistica 2.0 si stia rivelando più concreto che mai.
Ma allora, quale potrebbe essere la soluzione?
Tenendo conto che, al di là dei continui e velleitari proclami, il tanto atteso vaccino non arriverà prima di parecchi mesi, non ci sono molte alternative praticabili se non vogliamo ritrovarci tra le macerie economiche e sociali di un paese in rovina. Anzi, a mio parere, esiste un’unica ricetta, composta da svariati ingredienti: (1) smettere di enfatizzare le notizie sul Covid con continui bollettini di guerra per limitare i fenomeni di isteria collettiva; (2) evitare, in particolare, di ripetere allo sfinimento i numeri dei casi totali che emergono giornalmente, che dipendono fortemente dal numero di tamponi e dalle modalità con cui vengono effettuati, e che comunque – come si è visto – sottostimeranno sempre di molto i casi reali; (3) tutelare con forme di prevenzione mirate le categorie più a rischio, che al 95% sono costituite da anziani con patologie pregresse; (4) invitare chi non ha sintomi a non recarsi negli ospedali alla ricerca isterica di un tampone e cercare, in prima istanza, di curare tempestivamente a casa, magari con l’aiuto dei medici di famiglia, chi invece presenta sintomi evidenti; (5) infine, lasciare liberi tutti gli under 70 (età da valutare) di lavorare e andare in giro come credono, con o senza precauzioni, puntando ad una diffusione sempre maggiore dell’immunità, soprattutto tra i più giovani (che prima sono stati incredibilmente criminalizzati per la loro “movida”, mentre adesso vengono quasi indotti a sentirsi in colpa per il loro diritto ad avere una didattica in presenza).
Di qualcosa del genere sembra essersi finalmente convinta persino Ilaria Capua, una virologa “mainstream” tra le più ascoltate degli ultimi mesi. Forse sarà per questo che non la troviamo più nei talk show di prima serata…