Studenti al bar ma non nelle aule

di Giuseppe Grasso e Alberto Giovanni Biuso
(12.6.2020)

Sulla mailing list dei docenti dell’Università di Catania si discute anche della decisione dell’Ateneo di continuare a interdire agli studenti l’accesso ai Dipartimenti.
Riportiamo uno scambio intercorso tra Giuseppe Grasso (Dipartimento di Scienze Chimiche) e Alberto Giovanni Biuso (Dipartimento di Scienze Umanistiche).
L’argomento è la Lettera aperta indirizzata al MUR e al Ministro Manfredi con la quale si chiede di riaprire le Università.

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Io ho firmato la petizione, ma vorrei anche aggiungere un piccolo commento. Mi sembra veramente vergognoso che sia possibile andare al bar, al ristorante e tra poco anche in discoteca e contemporaneamente si facciano problemi per fare esami in presenza (si possono tranquillamente mantenere le distanze durante gli esami) o per fare le lezioni in presenza (anche in questo caso è facile tenere il metro di distanza).

In effetti, mi pare che si stia semplicemente – e forse volutamente – privando del diritto allo studio migliaia di studenti, dalla scuola alle università. Il pericolo, a mio avviso, non è affatto rappresentato dal virus (senza togliere importanza e gravità alla morte di nessuno; qui in Sicilia ricordo che abbiamo avuto un numero di morti e di contagiati da Covid veramente ridicolo, se confrontato al numero di malati e morti per altre cause. Guardando ai numeri, personalmente mi sento molto più in pericolo fumando, bevendo alcolici o andando in moto piuttosto che parlando con uno studente a 2 metri di distanza).

Il vero rischio mi sembra quello di crescere una generazione di disumani-nerd-telematici, privi di ogni senso critico e perciò facilmente terrorizzabili con minacce di pandemia, così da poter instaurare una dittatura dall’oggi al domani, senza suscitare alcuna protesta. Io mi dissocio fortemente dal pensiero che prima di intraprendere una qualsiasi attività bisogna accertarsi a tutti i costi che sia a “rischio zero” dal contagio. Non so cosa si intenda per “rischio zero”. La vita è per definizione un “rischio”. Tutto quello che facciamo, ogni giorno, comporta un rischio per la nostra vita stessa. In effetti, non c’è neppure bisogno di uscire di casa, visto l’alto numero di incidenti, omicidi e suicidi che avvengono tra le nostre sicure mura di casa.

Perché ci siamo chiusi in casa allora e continuiamo a non poter vivere liberamente anche adesso che gli ospedali sono praticamente vuoti da malati di Covid? Si possono dare tante risposte a questa domanda, ma sicuramente tutti abbiamo percepito che il pericolo che avremmo corso svolgendo le attività della nostra vita ‘normale’ era improvvisamente divenuto troppo alto, che non si poteva più accettare il rischio di vivere, ma bisognava in qualche modo sospendere la nostra vita. Questa decisione, più o meno condivisibile, ci è stata imposta dall’alto, non è stata affatto il frutto di un dibattito politico e culturale – tutto è stato giustificato dall’urgenza.

Adesso, però, la questione mi pare ben diversa. L’urgenza (qui in Sicilia non l’abbiamo mai avuta) è finita, eppure si continua a proibire persino la vita culturale nelle nostre università. Si parla di plexiglas tra banchi di scuola elementare. Si prevedono lunghi periodi di didattica on line, scenari apocalittici, deleteri per la vita sociale, culturale ed economica del paese, giustificati non più dall’urgenza ma dalla sola paura. Ma preferisco vivere e far vivere piuttosto che rinunciare alla vita e alla cultura per paura di morire. Per quello che ne so, questa situazione potrebbe durare mesi, forse anni. Non sono disposto a rinunciare alla cultura e alla libertà per un periodo così lungo per nessuna minaccia di morte al mondo.

È chiaro che la libertà individuale si debba fermare nel momento in cui va a minacciare la libertà degli altri. D’altra parte la paura di morire personale non dovrebbe in alcun modo intaccare la libertà e la vita degli altri. Questo è stato fatto e continua ad accadere oggi, ma di certo deve essere limitato nel tempo, non può diventare, in nessun caso, una situazione permanente o ricorrente.

Giuseppe Grasso

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Condivido pienamente quanto scritto da Giuseppe Grasso. Aggiungo due elementi:

Il primo: un articolato documento di un gruppo di psicologi e psichiatri Sui gravi danni psichici e sociali della paura da Covid19, i cui autori si dichiarano in pieno accordo anche con il documento del Comitato Rodotà Si scrive salute. Si legge democrazia. Come abbiamo scritto in “Corpi e politica”: «crediamo che si tratti di un significativo contributo alla comprensione dei danni enormi inferti alla collettività, ai singoli, alle libertà. In modo pacato ma fermo si chiede ai decisori politici e ai mezzi di informazione di cambiare direzione allo scopo di evitare ulteriori disastri e ripristinare la salute pubblica, che è un fatto globale e non soltanto virale».

Il secondo: la foto di una gita a Siracusa che abbiamo organizzato qualche giorno fa con alcuni dottorandi, laureandi e studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche. L’immagine è stata da me tagliata per rispettare la riservatezza dei miei allievi ma vi assicuro che i corpi erano interi. L’abbiamo scattata davanti a una delle belle chiese di Ortigia. Abbiamo passeggiato, gustato l’aperitivo, cenato. E tuttavia quegli stessi dottorandi, laureandi e studenti devo riceverli al bar di Piazza Dante perché il Dipartimento è loro precluso, quasi come un fortilizio dal quale devono stare lontani.
Non vi sembra che ci sia qualcosa di strano e irrazionale in tutto questo?

Alberto Giovanni Biuso

[L’immagine di apertura è di Federico Fantechi]