Riaprire le Università

L’Habeas Mentem, la Dad e il ruolo delle Università (al plurale) al tempo del Covid

L’idea che la presenza fisica degli studenti nelle Università sia tranquillamente sostituibile con i corsi telematici, con la DaD, è sbagliata. Perché – paradossalmente – al di là del manto tecnologico, è un’idea molto arretrata.

Lettera aperta al Chiarissimo professor Gaetano Manfredi, Ministro dell’Università e della ricerca scientifica, e per conoscenza ai componenti della CRUI.

La Lettera si può sottoscrivere qui: Lettera aperta al Chiarissimo professor Gaetano Manfredi

Siamo un gruppo di docenti e ricercatrici/ori, di diversi Atenei italiani che hanno deciso di interpellarLa direttamente per porLe il problema della riapertura delle Università.

Il DPCM del 4 marzo 2020 ha disposto la chiusura delle Università su tutto il territorio nazionale. Dapprima prevista fino al 18 marzo, la chiusura si è protratta senza soluzione di continuità fino ad oggi. Si riapre la mobilità fra regioni. Sono state assunte misure per la progressiva riapertura di fabbriche, uffici, esercizi commerciali, enti pubblici, e anche dei luoghi di ritrovo e di socializzazione, ma nessuna misura relativa alla riapertura delle Università. Quest’ultima non sembra un evento all’ordine del giorno. Pare che gli studenti si possano incontrare fra loro e con i docenti senza rischi in birreria o in pizzeria, tra poco anche nei cinema e nei teatri, ma non nelle aule universitarie. Si sono studiati (fortunatamente) protocolli per far svolgere in sicurezza gli esami di maturità in presenza a giugno, ma non gli esami universitari delle sessioni estive. Si preferisce consegnare i dati di studenti e docenti a tecnologie prevalentemente basate su software proprietario e datacenter esteri per fare quegli esami a distanza, invece che organizzare modalità per farli in presenza, eventualmente all’aperto.

Mentre si discute della riapertura parziale degli stadi a fine giugno per le partite di calcio, le Università si stanno attrezzando per svolgere anche nel prossimo anno accademico l’insegnamento in presenza per pochi eletti e a distanza per gran parte dei loro studenti, per evitare che la presenza in aula incrementi la diffusione del contagio. Temiamo che quando si dice che “conviene” proseguire l’insegnamento in modo prevalentemente telematico fino a gennaio 2021, si pensi che l’istruzione superiore italiana conti meno delle vacanze in spiaggia, dell’aperitivo al bar, del giro al centro commerciale o che le Università non siano in grado di elaborare strategie per consentire una vera esperienza educativa, contenendo i rischi di contagio, e che siano meno capaci di farlo rispetto ai ristoratori o ai gestori turistici (che per elaborare le soluzioni si rivolgono a ricercatori universitari). Temiamo che dietro questo atteggiamento ci sia piuttosto una concezione della funzione dell’istruzione superiore che riteniamo inaccettabile. Ci sembra infatti inspiegabile che l’amministrazione pubblica, la quale dispone delle più ampie, profonde e diversificate competenze scientifiche e professionali, non si consideri in grado di elaborare un piano di rientro sicuro ed efficiente per le Università e praticamente solo per le Università, che di quel sapere sono la matrice e la culla. Ci sembra impossibile che si ritenga di non aver le forze per raggiungere l’obbiettivo di una didattica (ma anche di un’attività di ricerca) svolta “in presenza” per la stragrande maggioranza degli studenti. L’unica spiegazione che riusciamo a darci è che si stia diffondendo l’idea che l’obiettivo non valga lo sforzo. Invece, a nostro parere, l’obiettivo merita il più grande degli sforzi, e siamo sicuri che le Università italiane hanno tutti i requisiti per vincere la battaglia.

L’idea che la presenza fisica degli studenti nelle Università sia tranquillamente sostituibile con i corsi telematici, con la DaD, è sbagliata. Perché – paradossalmente -, al di là del manto tecnologico, è un’idea molto arretrata. Riflette una visione della didattica universitaria vecchia di oltre sessant’anni, ci riporta a un modello di apprendimento incentrato sul “trasferimento di conoscenze” per mezzo di lezioni cattedratiche, con scarso dialogo (per questo definite burocraticamente “frontali”), a cui si accompagna lo studio solitario, spesso consistente in una memorizzazione dei cosiddetti manuali, assunti dogmaticamente come fonte del sapere. A questo tipo di didattica fanno da naturale completamento esami incentrati sulla verifica della memorizzazione delle nozioni. Il sistema si adattava a una popolazione studentesca che viveva soprattutto in famiglia: trasferirsi a vivere insieme ad altri studenti vicino all’Università era troppo costoso, e anche non molto utile, visto che alla fine quel che contava era superare gli esami, avendo imparato il contenuto di uno o più grossi libri, o delle “sbobinature” delle lezioni.

La didattica telematica rischia di non essere altro che un vestito tecnologico per questo modello vecchio. Dalle sue origini medioevali ai modelli anglosassoni (i campus), l’Università ha invece l’aspirazione di essere prima di tutto un luogo fisico organizzato per offrire a docenti, ricercatori e studenti una esperienza intellettuale fortemente formativa, intesa a stimolare e far interagire le loro intelligenze. Questo luogo è, se possibile, tanto più necessario oggi, quando proprio la rivoluzione dei processi e dei mezzi di comunicazione (il web) ha reso quasi ridicola la funzione di fonte prioritaria di conoscenze “da trasferire”. Le nozioni sono ormai reperibili in pochi secondi in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento: qualsiasi studente può assistere a lezioni e conferenze su qualsiasi argomento di premi Nobel e massimi esperti mondiali del tema.

Quello che le Università possono e devono fornire è la capacità di porre/si le domande sulle conoscenze trasferite e organizzare in modo cumulativamente produttivo le risposte. La loro ragion d’essere, in un mondo in cui le “informazioni” si trovano sul web, è quella di educare al senso critico e a selezionare le informazioni che servono per risolvere specifici problemi, e soprattutto a porne di nuovi. Devono provare l’impresa titanica di garantire, nell’epoca della rete, l’habeas mentem dei ragazzi che le frequentano. E questo è un compito che si può assolvere solo attraverso l’esperienza della vita universitaria: il senso critico e la creatività nell’uso del sapere si possono insegnare e apprendere, ma non meccanicamente “trasferire”.

Il compito delle Università è, a nostro parere, insegnare “a”, insegnare “come”, non insegnare nozioni. Questo vale anche, ed anzi forse a maggior ragione, proprio per le facoltà destinate a formare alle scienze ed alla tecnologia: la centralità e inevitabilità del lavoro di gruppo, e dunque dell’educare la speciale capacità di condividere le conoscenze al fine di risolvere e porre problemi che sfuggono al dominio individuale, presuppone che i laboratori, in cui la didattica nasce o comunque si sviluppa con la ricerca, siano “popolati” di persone. Proprio quando la tecnologia è oggetto dell’insegnamento, finisce con il rivelarsi del tutto inadeguata come esclusivo mezzo di esso.

Per anni le Università italiane hanno combattuto con la carenza di spazi e dotazioni per laboratori didattici, essenziali strumenti formativi nelle discipline STEM. Con fatica ed impegno si sono allineate alle migliori istituzioni internazionali. Ora, ci sembra che ipotizzare anche solo delle parziali riduzioni dei laboratori didattici, o addirittura la loro sostituzione con laboratori “virtuali” o “telematici” dimostri come non si conosca cosa significa un laboratorio pratico per uno studente STEM.

La didattica online è accettabile e, anzi benvenuta, per un breve periodo di emergenza, ma l’insegnamento è un’altra cosa. Quella che è in discussione è l’esistenza delle Università, al plurale, in alternativa alla Università (al singolare) della didattica a distanza foss’anche fatta dai Nobel, in cui tutti gli altri attuali docenti verificano che gli studenti abbiano “acquisito” le conoscenze (tra quanto nascerà l’Amazon University così organizzata?). Se le Università, al plurale, hanno una ragion d’essere, questa sta nella loro capacità di offrire una varietà di esperienze educative che si sviluppano in, e non possono fare a meno di, una dimensione di vita comunitaria non riducibile a incontri virtuali.

Il trasferimento on-line della didattica universitaria comporta, per altro, una riorganizzazione delle mansioni e dei tempi di lavoro che si sovrappone agli oneri di cura e di organizzazione domestica. Per quelle lavoratrici e lavoratori che hanno a carico bambini, anziani o soggetti vulnerabili, il lavoro da casa, non per scelta bensì imposto, si traduce dunque in una discriminazione che va a pesare su un’università già profondamente segnata dal differenziale di genere.

La rete offre una quantità di opportunità, che vanno tutte sfruttate, ma non ci consente affatto di imparare, nella misura in cui il senso critico è il perno di questa nozione, stando a casa. Anzi, impone più vita universitaria comune, perché per gestire in modo critico le informazioni che essa veicola serve una crescita esponenziale del senso critico e della creatività dei suoi utenti. Nell’era di internet le Università, se vogliono tutelare il loro habeas mentem, dovrebbero costruire più residenze per studenti, dovrebbero essere campus dalla dimensione umana, favorire le coabitazioni e aprire anche la sera e durante le vacanze, perché la critica e il confronto sono tanto più necessari quanto più siamo inondati di informazioni incontrollate. Su queste cose e non sulla didattica a distanza andrebbero concentrati gli investimenti: avremmo bisogno di un grosso aumento di borse di studio, in primo luogo in forma di buoni affitto per gli studenti.

A partire da queste considerazioni riteniamo che ripiegare sulla didattica a distanza (per una parte consistente maggioranza degli studenti) per altri sei mesi sia una sconfitta che implica la rinuncia alla ragion d’essere dell’Università e apre la strada alla messa in discussione delle Università (al plurale).

 

Promotori

Costanza Margiotta (Università di Padova)
Emilio Santoro (Università di Firenze)
Enrica Rigo (Università di Roma Tre)
Emanuele Conte (Università di Roma Tre)
Alberto di Martino (Scuola Superiore Sant’Anna Pisa)
Geminello Preterossi (Università di Salerno)
Anna Cavaliere (Università di Salerno)

Primi firmatari

1. Gaetano Azzariti, Università Sapienza di Roma
2. Giuseppe Zaccaria, Università di Padova
3. Carlo Galli, Università di Bologna
4. Vincenzo Cerulli Irelli, Univ. Sapienza Roma
5. Adriano Prosperi, Scuola Normale Pisa
6. Donatella della Porta (Scuola Normale Superiore)
7. Paolo Cendon, Università di Trieste
8. Paolo Rigotti, Università di Padova
9. Carla Faralli, Università di Bologna
10. Massimo Firpo, Università di Torino
11. Luca Illetterati, Università di Padova
12. Tania Groppi, Università di Siena
13. Laura Bazzicalupo, Università di Salerno
14. Carmen Leccardi Università di Milano Bicocca
15. Giovanni Dosi, Scuola Sant’Anna Pisa
16. Baldassare Pastore, Università di Ferrara
17. Alessandro Ferrara, Università di Roma Tor Vergata
18. Mauro Magatti, Universtià Cattolica di Milano
19. Antonio Varsori, Università di Padova
20. Riccardo Guastini, Università di Genova
21. Alessandro Somma Università di Ferrara
22. Alberto Lucarelli, Università di Napoli
23. Ugo Mattei, Università di Torino
24. Alessandra Facchi, Università statale di Milano
25. Aldo Schiavello, Università di Palermo
26. Elisabetta Grande, Università del Piemonte Orientale
27. Francesco Margiotta Broglio, Università di Firenze
28. Enrico Grosso, Università di Torino
29. Luigi Pannarale, Università di Bari
30. Gianluigi Palombella, Scuola Sant’Anna Pisa
31. Mauro Barberis, Università di Trieste
32. Maria Laura Lanzillo, Università di Bologna
33. Gigliola Fragnito, Università di di Parma
34. Paolo Cappellini (Univ. Firenze)
35. Ada Patrizia Fiorillo (Univ. Ferrara)
36. Adalberto Sciubba, Sapienza Università di Roma
37. Adalgiso Amendola (Univ. Salerno)
38. Adriano Favole (Univ. Torino)
39. Adrino Vinale (Univ. Salerno)
40. Agnes Kohlmeyer (Università Iuav di Venezia)
41. Alberto Aimi (Univ. Brescia)
42. Alberto Bartola (Univ. Sapienza)
43. Alberto Boschi (Univ. Ferrara)
44. Alessandro Roccatagliati (Univ. Ferrara)
45. Alister Filippini, Università degli Studi “G. d’Annunzio”Chieti
46. Ermanno Malaspina, Univ. di Torino
47. Aldo Marroni, Università degli Studi “G. d’Annunzio”Chieti
48. Alba Mora (Università di Parma)
49. Cristiano Iaia, Univ. di Torino
50. Rodolfo Savelli, Università di Genova
51. Marzia Giuliani, Università Cattolica di Milano.
52. Lorenzo Rustighi, Univ. di Padova
53. Matteo Bozzon, Univ, di Padova
54. Chiara Maria Lebole, Univ. di Torino
55. Niccolò Bertuzzi (Scuola Normale Superiore),
56. Lorenzo Bosi (Scuola Normale Superiore)
57. Angelo Antonio Cervati (Roma Sapienza)
58. Angelo d’Orsi (Univ. Torino)
59. Luigi Martina, Univ. del Salento
60. Maria Intrieri, Univ. della Calabria
61. Giovanna Daverio, Univ. di Milano
62. Giovanni Muto, Univ. ‘Federico II’, Napoli
63. Carlo Tedeschi, Università di Chieti
64. Francesco Bausi, Univ. della Calabria
65. Filippo Focardi, Università di Padova
66. Luca Fonnesu, Università di Pavia
67. David Burigana, Università di Padova
68. Alessandro Simoncini (Univ. Stranieri Perugia)
69. Alessandro Tripodo (Univ. Messina)
70. Alfio Cortonesi (Università della Tuscia)
71. Alfonso Maurizio Iacono (Univ. Pisa)
72. Alfredo Alietti (Univ. Ferrara)
73. Alfredo Buonopane, Università di Verona
74. Alfredo Mario Morelli (Univ. Ferrara)
75. Francesco Bausi – Università della Calabria.
76. Francesco Cirone (Univ. Bari)
77. Francesco Dini (Univ. Firenze)
78. Francesco Fiorentino, Università di Bari Aldo Moro
79. Francesco Forzati (Federico II Napoli)
80. Francesco Ghia (Univ. Trento)
81. Francesco Grasso (Univ. Firenze)
82. Francesco Ingravalle, l’Università del Piemonte Orientale
83. Gaetano Zimbardo – Università della Calabria
84. Gennaro Carillo Università Suor Orsola Benincasa
85. Gennaro Maria Barbuto (Federico II Napoli)
86. Gerardo Morsella, Università Tor Vergata Roma
87. Giacomo Capuzzo (Univ. Perugia)
88. Giacomo Viggiani (Univ. Brescia)
89. Giampietro Gobo (Univ.Milano)
90. Gian Maria Farnelli, Università di Bologna
91. Gianfranco Bocchinfuso, Università di Roma “Tor Vergata”
92. Gianfranco Ragona (Univ. Torino)
93. Gianluca Navone (Univ. Siena)
94. Gianni Battacone (Univ. Sassari)
95. Gianni Ruocco (Sapienza Roma)
96. Gianni Venturi, Univ. di Firenze
97. Gianvito Brindisi Università “ Luigi Vanvitelli
98. Alfredo Rizza, Univ. di Verona
99. Alice Riccardi (Roma Tre)
100. Alvise Sbraccia (Univ. Bologna)
101. Ambrogio Santambrogio (Univ. Perugia)
102. Amedeo Visconti, Università di Napoli Suor Orsola Benincasa
103. Ana Lourdes de Hériz, Università di Genova
104. Andrea Barenghi (Università del Molise)
105. Andrea Borsari, Università di Bologna
106. Andrea Buccisano (Univ. Messina)
107. Andrea Colesanti (Univ. Firenze)
108. Andrea Cossu (Univ. Trento)
109. Andrea Francesco Abate (Univ. Salerno)
110. Andrea Francioni (Univ. Siena)
111. Daniela Chironi (Scuola Normale Superiore)
112. Lorenzo Cini (Scuola Normale Superiore)
113. Enrico Padoan (Scuola Normale Superiore)
114. Andrea Paci (Univ. Firenze)
115. Andrea Pisaneschi (Univ. Siena)
116. Andrea Raggi, Università di Pisa
117. Andrea Rapini (Università di Modena e Reggio Emilia)
118. Andrea Serafino, Università del Piemonte Orientale
119. Andrea Spreafico (Roma Tre)
120. Andrea Trabocchi (Univ. Firenze)
121. Andreana Marino (Univ. Messina)
122. Alberto Castelli (Univ. Ferrara)
123. Alberto Di Cintio, Università di Firenze
124. Alberto Giovanni Biuso (Univ. Catania)
125. Lorenzo Mechi, Univ. di Padova
126. Alberto Ronco, Univ. di Torino
127. Alberto Sciumé (Univ. Brescia)
128. Alberto Spisni (Univ. Parma)
129. Alberto Tonini (Univ. di Firenze)
130. Alberto Tonini (Univ. Firenze)
131. Alessandra Algostino (Univ. Torino)
132. Alessandra Falduto – Università della Calabria.
133. Alessandra Filabozzi, Università di Roma “Tor Vergata”
134. Alessandra Giunti (Univ. Teramo)
135. Alessandra Pera, Univ. di Palermo
136. Alessandra Sciurba (Univ. Palermo)
137. Alessandra Valastro (Univ. Perugia)
138. Anna Painelli (Univ. Parma)
139. Anna Pettini (Univ. Firenze)
140. Anna Rita Gabellone (Univ. Salento)
141. Annalisa Murgia (Univ. Milano)
142. Annalisa Pace (Univ. Teramo)
143. Annamari Nieddu (Univ. Sassari)
144. Annamaria Loche (Univ. Cagliari)
145. Annamaria Pratelli (Univ. Bari)
146. Annamaria Ruffino (Univ. della Campania)
147. Annibale Elia (docente unisa)
148. Antonella Barzazi, Univ. di Padova
149. Antonella Bronzetti (Univ. Siena)
150. Antonella Dominici (Univ. Stranieri Perugia)
151. Antonietta Mazzette (Univ. Sassari)
152. Antonio Bellizzi di San Lorenzo (Univ. Firenze)
153. Antonio Cavaliere (Federico II Napoli)
154. Antonio Iacobini (Sapienza Roma)
155. Antonio Iannarelli (Univ. Bari)
156. Antonio Marchesi (Univ. Teramo)
157. Antonio Mastropaolo, Università della Valle d’Aosta
158. Antonio Morandi (Univ. Bologna)
159. Antonio Pazzona (Univ. Sassari)
160. Antonio Scialà (Roma Tre)
161. Antonio Scopa (Univ. Basilicata)
162. Antonio Tramontana (Univ. Messina)
163. Antonio Tucci Università di Salerno
164. Antonio Vallini (Univ. Pisa)
165. Arianna Finessi (Università di Ferrara)
166. Arianna Pinto (Univ. Genova)
167. Arianna Thiene, Università degli Studi di Ferrara
168. Armando Vannucci, Università di Parma
169. Arnaldo Canziani (Univ. Brescia)
170. Arnaldo Marcone, Univ. Roma Tre
171. Augusto Guida, Università di Udine
172. Aurora de Leonibus (Univ. Trieste)
173. Barbara Biscotti (Univ. Milano Bicocca)
174. Barbara Carsana (Milano Bicocca)
175. Barbara Grüning (Milano Bicocca)
176. Barbara Henry (Sant’Anna Pisa)
177. Barbara Nacar (Napoli Federico II)
178. Annamaria Nico (Univ. Bari)
179. Barbara Randazzo (Univ. Milano)
180. Barbara Viviani (Univ. Milano)
181. Beatrice Pasciuta (Univ. Palermo)
182. Beatrice Tottossy (Univ. Firenze)
183. Benedetta Baldi (Univ. Firenze)
184. Bianca Cassai (Univ. Firenze)
185. Brunella Casalini (Univ. Firenze)
186. Bruno Accarino (Univ. Firenze)
187. Francesco Morelli (Univ. Ferrara)
188. Francesco Niccolò (Univ. Messina)
189. Francesco Oliveri (Univ. Messina)
190. Francesco Oliviero, Università degli Studi di Ferrara
191. Francesco Petrini, Università di Padova
192. Francesco Schiaffo Università di Salerno
193. Francesco Zanotelli (Univ. Messina)
194. Franco Bellato (Univ. Pisa)
195. Franco Prina (Univ. Torino)
196. Fulvio Mancuso (Univ. Siena)
197. Furio Ferraresi, Università della Valle d’Aosta
198. Anna Maria Poggi Univ. Torino
199. Furio Finocchiaro (Univ. Trieste)
200. G. Matteo Crovetto (Univ. Milano)
201. Gabriella Paolucci (Univ. Firenze)
202. Gabriella Petti, Università di Genova
203. Gabriella Violato, Roma “La Sapienza”.
204. Gaetano Bucci (Univ. Bari)
205. Gaetano Scamarcio (Univ. Bari)
206. Carlo Belli (Univ. Stranieri Perugia)
207. Carlo Bitossi (Univ. Ferrara)
208. Carlo Botrugno (Univ. Firenze)
209. Carlo Brentari (Univ. Trento)
210. Carlo Caprioglio (Roma 3)
211. Carlo Fantappié (Univ. Roma 3)
212. Carlo Mariani, Sapienza Università di Roma
213. Carlo Scilironi (università di padova)
214. Carlo Sotis, Universtià della Tuscia
215. Carmela Morabito, Università di Roma Tor Vergata
216. Caterina Botti, Univ. sapienza Roma
217. Caterina Cancrini, Univ. di Tor Vergata
218. Caterina Filippini (Univ. Milano)
219. Cecilia Blengino (Univ. Torino)
220. Cecilia Corsi (Univ. Firenze)
221. Cecilia Ricci, Università degli Studi del Molise
222. Cesare de Gregorio (Univ. Messina)
223. Cesare Zizza, Università di Pavia
224. Chiara Cappelletto (Univ. Milano)
225. Chiara Cassiani (Università della Calabria)
226. Chiara Giorgi, Univ. di Roma sapienza
227. Alessandra Viviani (Univ. Siena)
228. Alessandro Caselli (Univ. Milano)
229. Alessandro Ferrarin Università di Pisa
230. Angela di Pietro (Univ. Messina)
231. Angela Musumeci (Univ. Teramo)
232. Angela Votrico, Università Tor Vergata Roma
233. Angelo Farina (Univ. Parma)
234. Anita Gramigna (Univ. Ferrara)
235. Anna Barattucci (Univ. Messina)
236. Anna Candida Felici, Università La Sapienza, Roma
237. Anna Grazia Calabrò (Univ. Messima)
238. Anna Loretoni (Sant’Anna Pisa)
239. Anna Maria D’Achille (Sapienza Roma)
240. Anna Maria Poggi, univ. di Torino
241. Anna Maria Porporato, univ. Torino
242. Anna Mastromarino Univ. Torino
243. Anna Modigliani (Univ. della Tuscia)
244. Anna Moroni (Univ. Milano)
245. Anna Nuda (Univ. Sassari)
246. Chiara Giunti (Univ. Firenze)
247. Chiara Mazzoleni (Università Iuav di Venezia)
248. Chiara Piola Caselli (Univ. Perugia)
249. Chiara Stoppioni (Univ. Firenze)
250. Cinzia Buccianti (Univ. Siena)
251. Ciro Pizzo (Napoli Orientale)
252. Cirus Rinaldi, Università di Palermo
253. Claudia Carmina (Univ. Palermo)
254. Claudia Foti (Univ. Messina)
255. Claudia Mantovani (Univ. Padova)
256. Claudio Chiuderi (Univ. Firenze)
257. Claudio Giovanardi (Univ. Roma Tre)
258. Claudio Marchese (Univ. Bologna)
259. Claudio Pellecchia (Univ. Salerno)
260. Claudio Sarzotti (Univ. Torino)
261. Daniela Motta, Università degli Studi di Palermo
262. Daniela Ronco (Univ. Torino)
263. Daniele Bassi (Univ. Ferrara)
264. Daniele Caviglia, università Kore di Enna
265. Daniele Guastini (Sapienza Roma)
266. Daniele Masciatelli (Univ. Pisa)
267. Daniele Pasquinucci (Unisi)
268. Daniele Scarscelli (Univ. Piemonte Orientale)
269. Danilo Zardin (Cattolica Milano)
270. Dario Cecchi (Sapienza Roma)
271. Dario Gentili, Univ. Roma tre
272. Dario Internullo, Univ. Roma Tre
273. Davide Bertaccini, univ. di Bologna
274. Davide Cadeddu (Univ. Milano)
275. Davide Canfora (Univ. Bari)
276. Davide Galliani (Univ. Milano)
277. Davide Petrillo (Univ. Firenze
278. Davide Sparti (Univ. Siena)
279. Davide Tarizzo Università di Salerno
280. Riccardo De Caria, Univ. di Torino
281. Debora Di Mauro (Univ. Messina)
282. Mario Deganello, Univ. di Torino
283. Demico Francavilla Univ. di Torino
284. Dianella Gambini (Univ. Stranieri Perugia)
285. Dimitri D’Andrea (Univ. Firenze)
286. Dino Costa (Univ. Messina)
287. Domenico Buonavoglia (Univ. Bari)
288. Domenico Carbone (Univ. Piemonte Orientale)
289. Domenico Cersosimo – Università della Calabria
290. Domenico Dalfino (Univ. Bari)
291. Domenico Delfino (Univ. Perugia)
292. Domenico Maddaloni (Univ. di Salerno)
293. Domenico Otranto (Univ. Bari)
294. Domenico Patassini (Università Iuav di Venezia)
295. Domenico Siciliano (Univ. Firenze)
296. Domenico Talia, Università della Calabria
297. Domenico Taranto (Univ. Salerno)
298. Domenico Vitulano, Sapienza Università di Roma
299. Domitilla Campanile (Univ. Pisa)
300. Donata Violante, Università degli Studi della Basilicata
301. Donatella Cherubini (Univ. Siena)
302. Donatella Pallotti – Università di Firenze
303. Edoardo Bianchi, Università di Verona
304. Elena Ferioli, Università di Bologna
305. Elena Pasqualetto (Univ. Padova)
306. Elena Pulcini (Univ. Firenze)
307. Eleonora Sirsi (Univ. Pisa)
308. Elettra Stimilli, Univ. sapienza Roma
309. Eliana Billi (Sapienza Roma)
310. Elisa Cavasino (Univ. Palermo)
311. Elisa Gonnelli (Univ. Firenze)
312. Gianmarco Gori (Univ. Firenze)
313. Elisa Ruello (Univ. Messina)
314. Elisa Ruozzi, Univ. di Torino
315. Elisabetta Bianco, Università di Torino
316. Elisabetta Ulivi (Univ. Firenze)
317. Elvira Guida, Univ, della Calabria
318. Elvira Migliario, Università di Trento
319. Emanuela Abbatecola, Università di Genova
320. Emanuela Fronza, Universtià di Bologna
321. Emanuele Arielli (Università Iuav di Venezia)
322. Emanuele Cafagna Università di Chieti/Pescara
323. Emanuele Dettori – Università di Roma “Tor Vergata”
324. Emanuele Stolfi, Università di Siena
325. Emidio Diodato (Univ. Stranieri Perugia)
326. Emilia Sicilia, Università della Calabria
327. Emilio Paolo Visintin (Univ. Ferrara)
328. Enrica Martinelli (Università di Ferrara)
329. Enrico Camilleri Università degli Studi di Palermo
330. Enrico Diciotti (Univ. Siena)
331. Enrico Fontanari (Università Iuav di Venezia)
332. Enrico Pietrogrande (Univ. Padova)
333. Enrico Sciandrello, Univ. di torino
334. Enrico Terrinoni (Univ. Stranieri Perugia)
335. Enza Caruso, Univ. Di Perugia
336. Claudio Toscani (Univ. Milano)
337. Claudio Toscani (Univ. Milano)
338. Concetta de Stefano (Univ. Messina)
339. Concetta Gugliandolo (Univ. Messina)
340. Corrado Dimauro (Univ. Sassari)
341. Cristina Cavallaro (Univ. Torino)
342. Cristina Pace, Università di Roma “Tor Vergata”
343. Cristina Santinelli (Univ. Urbino)
344. Damiana Costanzo – Università della Calabria.
345. Damiano Canale, Univ. Bocconi
346. Daniel Boccacci (Univ. Parma)
347. Daniela Boldini, Sapienza Università di Roma
348. Daniela Bonanno, Università degli Studi di Palermo
349. Daniela Bubbolini (Univ. Firenze)
350. Daniela Caccamo (Univ. Messina)
351. Daniela Lo Giudice (Univ. Messina)
352. Daniela Marchiandi, Univ. di Torino
353. Enzo Colombo (Univ. Milano)
354. Enzo Poli (Univ. Parma)
355. Eraldo Sanna Passino (Univ. Sassari)
356. Erna Lorenzini (Univ. Milano)
357. Ester Cerbo, Università di Roma “Tor Vergata”
358. Ettore Minguzzi (Univ. Firenze)
359. Eugenia Tognotti – Università di Sassari
360. Eugenio Barcellona, univ. di Torino
361. Eugenio Giannelli (Univ. Firenze)
362. Eva Desana Univ. di Torino
363. Ezio Ritrovato, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
364. Fabia Grisi (Univ. Salerno)
365. Fabiana Falato (Federico II Napoli)
366. Fabio Casini (Univ. Siena)
367. Fabio D’Andrea (Univ. Perugia)
368. Fabio Frosini (Univ. Urbino)
369. Fabio Gavarini, Roma “Tor Vergata”
370. Fabio Riamondi (Univ. Udine)
371. Fabio Scarabotti, Sapienza Università di Roma
372. Fabio Vlacci (Univ. Trieste)
373. Fabrizio Bertolino, UniVdA
374. Fabrizio Mastromartino (Univ. Roma 3)
375. Fabrizio Scrivano, Università di Perugia
376. Fausta Scia, Univ. Di napoli Federico II
377. Federico Bilò (Univ. Chieti)
378. Federico Chicchi (Univ. Bologan)
379. Federico Giusfredi, Università di Verona
380. Federico Laudisa (Univ. Trento)
381. Federico Lenzerini (Univ. Siena)
382. Federico Oliveri (Univ. Pisa)
383. Federico Squarcini (Univ. Venezia)
384. Federico Tomasselo, Univ. di Venezia
385. Federigo Bambi (Univ. Firenze)
386. Fedrico Battera (Univ. Trieste)
387. Fiammetta Salmoni (Univ. G. Marconi Roma)
388. Filippo Barbera (Univ. Torino)
389. Filippo Ruschi (Univ. Firenze)
390. Filomena Laterza (Univ. Stranieri Perugia)
391. Franca Borgogelli (Univ. Siena)
392. Francesca Bettio (Univ. Siena)
393. Francesca Cantini (Univ. Firenze)
394. Francesca Gambarotto (Univ. Padova)
395. Francesca Gazzano, Università di Genova
396. Francesca Limena, Univ. di Padova
397. Francesca Lozar, Università di Torino
398. Francesca Paruzzo (Univ. Torino)
399. Francesca Poggi, Università Statale di Milano
400. Francesca Rescigno (Univ. Bologna)
401. Francesca Romana Lezzi (Univ. Foro Italico Roma)
402. Francesca Romana Stabile, (Roma Tre)
403. Francesca Vianello (Univ. Padova)
404. ”
405. Valerio Gigliotti, Univ. di Torino
406. Gianfranco Alfano (Federico II Napoli)
407. Gianluca Boniaiuti (Univ. Firenze)
408. Ginevra Salerno (Roma Tre)
409. Gino Scaccia (Univ. Teramo)
410. Giorgio Barberis, Università del Piemonte Orientale
411. Giorgio Bonamente, Università degli Studi di Perugia
412. Giorgio Camassa, Univ di Udine
413. Giorgio Pino (Univ. Roma Tre)
414. Giorgio Poletti (Univ. Ferrara)
415. Giorgio Ricchiuti (Univ. Firenze)
416. Giorgio Sobrino, univ. di Torino
417. Giovanna De Luca (Univ. Messina)
418. Giovanna Pinna Università del Molise
419. Giovanna Sissa (Univ. Genova)
420. Giovanni Alberto Cecconi (Univ. Firenze)
421. Giovanni Bisogni Università di Salerno
422. Giovanni De Cristofaro, Univ. di Ferrara
423. Giovanni Delli Zotti (Univ. Trieste)
424. Giovanni Maria Uda (univ. di sassari)
425. Giovanni Marini, Università di Perugia
426. Giovanni Minnucci (Univ. Siena)
427. Giovanni Orlandini, università di Siena
428. Giovanni Torrente (Univ. Torino)
429. Giovanni Tuzet, Univ. Bocconi
430. Giulia Labriola Università Suor Orsola Benincasa
431. Giuliano Garavini (Roma3)
432. Giuliano Lazzaroni (Univ. Firenze)
433. Giulio Azzolini Università di Venezia
434. Giulio Cerbai (Univ. Firenze)
435. Giulio Ghellini (Unv. di Siena)
436. Giulio Gisondi IISF
437. Giunia Valeria Gatta (Bocconi – Milano)
438. Giuseppe Bruno (Univ. Messina)
439. Giuseppe Campesi (Univ. Bari)
440. Giuseppe Caputo (Univ. Firenze)
441. Giuseppe Cascione Università di Bari
442. Giuseppe Finocchiaro (Univ. Brescia)
443. Giuseppe Ieraci (Univ. Trieste)
444. Giuseppe Lo Castro (Unical)
445. Giuseppe Marino, Università della Calabria
446. Giuseppe Martinico (Sant’ANNA Pisa)
447. Giuseppe Massara (La Sapienza Roma)
448. Giuseppe Montanara (Univ. Teramo)
449. Giuseppe Mosconi (Univ. Padova)
450. Giuseppe Pulina (Univ. Sassari)
451. Giuseppe Scandura (Univ. Ferrara)
452. Giuseppe Squillaci, University of Calabria
453. Giuseppe Zecchini, Università Cattolica di Milano)
454. Gloria Viarengo, Università di Genova
455. Gregorio Arena Università di Trento
456. Guglielmo Monaco (Univ. Salerno)
457. Guglielmo Sanna (Univ. Sassari)
458. Guido Borghi, Università di Genova
459. Guido Gorgoni (Univer. Padova)
460. Guido Maggioni (Univ. Urbino)
461. Guido Sali (Univ. Milano)
462. Ignazio Becchi (Univ. Firenze)
463. Ilaria Caggiano, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
464. Ilaria Madama (Univ. Milano)
465. Ines Corti Università di Macerata)
466. Irene Canfora (Univ. Bari)
467. Irene Zavattero, Università di Trento
468. Isabel Fanlo Cortes (Univ. Genova)
469. Ivan Pupolizio (Univ. Bari)
470. Ivana Acocella (Univ. Firenze)
471. Jessica Piccinini , Univ. di Macerata
472. Katia Poneti (Univ. Firenze)
473. Lapo Filistrucchi (Univ. Firenze)
474. Laura Bafile (Univ. Ferrara)
475. Laura Barile, università di siena
476. Laura Castaldi (Univ. Siena)
477. Laura Lorello (Univ. Palermo)
478. Laura Mecella , Università degli Studi di Milano
479. Laura Pelaschiar (Univ. Trieste)
480. Laura Scudieri, Università di Genova
481. Laura Solidoro Università di Salerno
482. Lea Nocera (Napoli Orientale)
483. Leonard Mazzone Università di Milano Bicocca
484. Leonardo Bargigli (Univ. Firenze)
485. Leone Porciani, univ. di pavia
486. Letizia Mancini (Univ. Milano)
487. Letizia Palumbo (Univ. Palermo)
488. Lidia Lo Schiavo (Univ. Messina)
489. Lionello Franco Punzo (Univ. Siena)
490. Livia Capponi, Università di Pavia
491. Lorenza Perini, Univ. di Padova
492. Lorenza Trabalzini (Univ. Siena)
493. Lorenzo Campagna (Univ. Messina)
494. Lorenzo Fattorini (Univ. Siena)
495. Lorenzo Gnocchi (Univ. Firenze)
496. Luca Baccelli (Univ. Camerino)
497. Luca Basso (univ. Di Padova)
498. Luca De Lucia Università di Salerno
499. Luca Decembrotto (Univ. Bologna)
500. Luca Guzzetti, Università di Genova
501. Luca Loschiavo (Univ. Teramo)
502. Luca Marafioti (Roma Tre)
503. Luca Nivarra (univ. degli studi di palermo)
504. Luca Queirolo Palmas (Univ. Genova)
505. Luca Queirolo Palmas, Università di Genova
506. Luca Trappolin, Università di Padova
507. Luca Verzichelli (Univ. Siena)
508. Lucia Coppolaro (univ. Padova)
509. Lucia Criscuolo, Univ. di Bologna
510. Lucia Denaro (Univ. Messina)
511. Lucia Felici, Univ. di Firenze
512. Luciana Dini, Sapienza Università di Roma
513. Luciana Lazzeretti (Univ. Firenze)
514. Luciana Migliore, Università di Roma “Tor Vergata”
515. Lucilla Gatt, Suor Orsola Benincasa
516. Luigi Callisto, Sapienza Università di Roma
517. Luigi Cominielli (Univ. Milano)
518. Luigi Crema, Univ. statale di Milano
519. Luigi Gallo, Università di Napoli l’Orientale
520. Luigi Gariglio (Univ. Torino)
521. Luigi Pandolfi- già tecnologo Cnr
522. Luisa Revelli, Università della Valle d’Aosta
523. Luisa Stagi, Università di Genova
524. Luisa Torchia (Roma Tre)
525. Maddalena Cinque, Univ. di Padova
526. Magdala Tesauro (Univ. Trieste)
527. Manuela Mantovani, Univ. di Padova
528. Mara Morelli, Università di Genova
529. Marcella Chelotti, Univ. di Bari
530. Marcello Lupi, Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’
531. Marco A. Pirrone (Univ. Palermo)
532. Marco Barlotti (Univ. Firenze)
533. Marco Cosentino, Università dell’Insubria
534. Marco Dondi (Univ. Ferrara)
535. Marco Geuna (Univ. Milano)
536. Marco Ivaldo Università di Napoli
537. Marco Lonzi (Univ. Siena)
538. Marco Pelissero (univ. di torino)
539. Marco Peresani (Univ. Ferrara)
540. Marco Pogacnik (Università Iuav di Venezia)
541. Marco Rangone (Univ. Padova)
542. Marco Rossi, Università La Sapienza, Roma
543. Marco Sabbioneti (Univ. Firenze)
544. Marco Santoro (Univ. Bologna)
545. Marco Scoletta, Univ. Di MIlano
546. Marco Vittori Antisari, Sapienza Università di Roma
547. Margherita Facella, Università di Pisa
548. Maria Antonietta Visceglia, Univ. Sapienza Roma
549. Maria C. Quattropani (Univ. Messina)
550. Maria Campanale (Univ. Foggia)
551. Maria Chiara Ruscazio, Univ. di Torino
552. Maria Concetta Abramo (Univ. Messina)
553. Maria Federica Petraccia, Univ. di genova
554. Maria Foti (Univ. Messina)
555. Maria Francesca Davì (Univ. Messina)
556. Maria Gabriella Stanzione (univ. di salerno)
557. Maria Gioffrè Florio (Univ. Messina)
558. Maria Giulia Fabi (Univ. Ferrara)
559. Maria Grazia Pazienza (Univ. Firenze)
560. Maria Iolanda Palazzolo, Univ. di Pisa
561. Maria Letizia Terranova, Università di Roma “Tor Vergata”
562. Maria Malvina Borgherini (Università Iuav di Venezia)
563. Maria Pia Bernasconi, Università della Calabria
564. Maria Pia Ellero (Univ. Basilicata)
565. Maria Pia Paoli (Scuola Normale Superiore di PISA)
566. Maria Rita Manzini (Univ. Firenze)
567. Maria Rosaria Marella (Università di Perugia)
568. Maria Stella Rognoni, Unifi
569. Maria Vittoria Catanzariti, EUI
570. Mariano Croce Università Sapienza di Roma
571. Mariano Sartore (Univ. Perugia)
572. Mariapia Cunico (Università Iuav di Venezia)
573. Marilisa De Serio (Univ. Bari)
574. Marina Calamo Specchia (Univ. Bari)
575. Marina Castellaneta (Univ. Bari)
576. Marina Roggero, Università di Torino
577. Marina Silvestrini, Univ. di Bari
578. Mario Bussoletti (Rome Tre)
579. Mario Caramitti – Università La Sapienza, Roma
580. Mario Monteleone (docente Unisa)
581. Mario Piana (Università Iuav di Venezia)
582. Mario Piccioli (Univ. Firenze)
583. Mario Sechi, Università di Bari
584. Mario Trimarchi, Università di Messina
585. Maristella Adami (Univ. Parma)
586. Markus Ophälders (Univ. Verona)
587. Marta Feroci, Sapienza Università di Roma
588. Martina Galli, Università della Tuscia
589. Massimiliano Ciammaichella (Università Iuav di Venezia)
590. Massimiliano Masucci (Roma Tre)
591. Massimiliano Montini (Univ. Siena)
592. Massimiliano Tabusi, Università per Stranieri di Siena
593. Massimiliano Verga, Univ. di Milano
594. Massimo Basilavecchia (Univ. Teramo)
595. Massimo Bassan, Università di Roma Tor Vergata
596. Francesco Tombesi, Università di Roma Tor Vergata
597. Alessia Fantini, Università di Roma Tor Vergata
598. Manuela Scarselli, Università di Roma Tor Vergata
599. Livio Narici, Università di Roma Tor Vergata
600. Anna Sgarlata, Università di Roma Tor Vergata
601. Claudio Goletti, Università di Roma Tor Vergata
602. Massimo De Carolis Università di Salerno
603. Massimo Gulisano (Univ. Firenze)
604. Massimo La Torre, Università di Catanzaro
605. Massimo Mucci (Università Iuav di Venezia)
606. Massimo Naffisi (Univ. Perugia)
607. Massimo Scotti, Università degli Studi di Verona
608. Matteo Bortolini (Univ. Padova)
609. Matteo Buffa, Università di Genova
610. Matteo Galletti (Univ. Firenze)
611. Matteo Galli (Univ. Ferrara)
612. Matteo Jessoula (Univ. Milano)
613. Matteo Luigi Napolitano, Univ. Molise
614. Matteo Lupano, Università di Torino
615. Matteo Mauri, Università di Roma “Tor Vergata”
616. Matteo V. d’Alfonso (Univ. Ferrara)
617. Maurilio Gobbo, Univ. di Padova)
618. Maurizia Palummo, Università di Roma “Tor Vergata”
619. Maurizio Gargano (Univ. Roma tre)
620. Maurizio Ghisleni (Milano Bicocca)
621. Maurizio Guerri (INSMLI – Istituto F. Parri)
622. Maurizio Pagano (Univ. Stranieri Perugia)
623. Maurizio Taddei (Univ. Siena)
624. Mauro Barni (Univ. Siena)
625. Mauro Federico (Univ. Messina)
626. Mauro van Aken, Università Milano-Bicocca
627. Medardo Chiapponi (Università Iuav di Venezia)
628. Micaela Frulli, Univ. di Firenze
629. Micaela Vitaletti (Univ. Teramo).
630. Michele Graziadei, Univ. Torino
631. Michele Miravalle (Univ. Torino)
632. Michele Zucali (Univ. Milano)
633. Michelina Masia (Univ. Cagliari)
634. Milena Meo (Univ. Messina)
635. Mirella Giannini (Federio II Napoli)
636. Monica Bertè Università di Chieti/Pescara
637. Monica Centanni (Università Iuav di Venezia)
638. Monica Massari (Univ. Milano)
639. Monica Sassatelli, Univ. di Bologna
640. Myriam Chiabò (Univ. Roma Tre)
641. Natale Fioretto (Univ. Stranieri Perugia)
642. Niccolò Bellanca (Univ. Firenze)
643. Niccolò Bertuzzi (Normale Pisa)
644. Niccolò Macciotta (Univ. Sassari)
645. Nicola Cusumano, Univ, di Palermo
646. Nicola Decaro (Univ. Bari)
647. Nicola Doni (Univ. Firenze)
648. Nicola Mancini, Università di Roma “Tor Vergata”
649. Nicola Riva (Univ. Milano)
650. Nicola Vizioli (Univ. Siena)
651. Nicoletta Marcelli (Univ. Urbino)
652. Nunzio Allocca, Univ. sapienza Roma
653. Orazio Puglisi (Univ. Firenze)
654. Paola Cardiano (Univ. Messina)
655. Paola Cosentino (Roma Tre)
656. Paola Farenga (La Sapienza Roma)
657. Paola Maffei (Univ. Siena)
658. Paola Parolari (Univ. Brescia)
659. Paola Persano. Univ. di Macerata
660. Paola Turano (Univ. Firenze)
661. Paolo Ajmone Marsan (Univ. Cattolica Piacenza)
662. Paolo Barrucci (Univ. Firenze)
663. Paolo Bellucci (Univ. Siena)
664. Paolo Costa (Univ. Firenze)
665. Paolo D’Achille (Univ. Roma Tre)
666. Paolo Fabbri (Univ. Ferrara)
667. Paolo Garbolino (Università Iuav di Venezia)
668. Paolo Giovannini (Univ. Firenze)
669. Paolo Heritier (Univ. Torino)
670. Paolo Marcellini (Univ. Firenze)
671. Paolo Trovato (Univ. Ferrara)
672. Paolo Vinci, Università La Sapienza di Roma
673. Pasquale Palmieri
674. Pasqualina Laganà (Univ. Messina)
675. Patrizia Delpiano, Univ. di Torino
676. Patrizio Collini (Univ. Firenze)
677. Perla Allegri (Univ. Torino)
678. Petra Cagnardi (Univ. Milano)
679. Pier Giorgio Borbone (Univ. Pisa)
680. Pier Luca Marzo (Univ Messina)
681. Pier Paolo Portinaro (Univ. Torino)
682. Pier Paolo Zampieri (Univ. Messina)
683. Pierangelo Isernia (Univ. Siena)
684. Piero Graglia (Univ. Milano)
685. Piero Tani (Univ. Firenze)
686. Pierpaola Pierucci (Univ. Ferrara)
687. Pietro Iaquinta, Università della Calabria
688. Pietro Vannicelli, Università di Roma
689. Fiammetta Salmoni, Università telematica Marconi
690. Tommaso Auletta (Università Catania – Dipartimento di Giurisprudenza)
691. Rafael Köche (Univ. Firenze)
692. Renata Pepicelli (Univ. Pisa)
693. Renato Capozzi (Federico II
694. Rita Benigni (Univ. Roma Tre)
695. Rita Mazzei, Università di Firenze
696. Rita Scuderi, Università di Pavia
697. Roberta Dameno (Milano Bicocca)
698. Roberta Fabiani (Roma Tre)
699. Roberta Lanfredini (Univ
700. Roberta Paltrinieri (Univ. Bologna)
701. Roberta Sassatelli (Univ. Milano)
702. Roberto Acquaroli, UNIMC
703. Roberto Bartoli (Univ. Firenze)
704. Roberto Cammarata (Univ. Milano)
705. Roberto Caranta (univ. di torino)
706. Roberto F. Scalon (Univ. Torino)
707. Roberto Gianni (Univ. Firenze)
708. Roberto Natoli (Univ. Palermo)
709. Roberto Sammartano, univ. di Palermo
710. Roberto Villa (Univ. Milano)
711. Roberto Voza (Univ. Bari)
712. Rocco Alessio Albanese, Università di Torino
713. Rocco Sciarrone (Univ. Torino)
714. Roger Campione (Univ. Oviedo)
715. Rosaria Priosa (Univ. Firenze)
716. Rossella Fabbrichesi (Univ. Milano)
717. Roverto Bellotti (Univ. Bari)
718. Ruggero Bertelli (Univ. Siena)
719. Sabino Fortunato (Roma Tre)
720. Sabrina Colombo (Univ. Milano)
721. Salomé Archain (Univ. Firenze)
722. Salvatore Bottari (Univ. Messina)
723. Salvatore Cingari (Univ. stranieri Perugia)
724. Salvatore Florio (Univ. Federico II Napoli)
725. Salvatore Pier Giacomo Rassu (Univ. Sassari)
726. Salvatore Prisco (Federico II Napoli)
727. Salvatore Ritrovato (Univ. Urbino)
728. Salvatore Rizzello, Università del Piemonte Orientale
729. Sandra Carillo, Sapienza Università di Roma
730. Sandra Teroni, Univ. di Cagliari
731. Sandro Busso (Univ. Torino)
732. Sandro Busso, PA, Università di Torino, Dipartimento di Culture, Politica e Società.
733. Sandro Chignola, (Univ. Padova)
734. Sandro Luce, Univ. di Salerno
735. Sandro Meli (Univ. Parma)
736. Sara Galeotti (Roma Tre)
737. Sara Lorenzini (Università of Trento)
738. Sara Menzinger (Roma Tre)
739. Saverio Betuzzi (Univ. Parma)
740. Saverio Regasto (Univ. Brescia)
741. Saverio Simone (Univ. Bari)
742. Serena Maffioletti (Università Iuav di Venezia)
743. Sergio Caruso Univ. di Firenze
744. Sergio Gessi (Univ. Ferrara)
745. Silvano Zippoli Caiani (Univ. Firenze)
746. Silvano Zucal (Univ. Trento)
747. Silvia Borrelli (Univ. Ferrara)
748. Silvia Brandani (Siena)
749. Silvia di Paolo (Univ. Roma 3)
750. Silvia Giorcelli, Università degli Studi di Torino
751. Silvia M. Marengo -Università di Macerata
752. Silvia Orlandi (Sapienza Università di Roma)
753. Silvia Rodeschini, Università di Firenze
754. Silvia Schiavo, Università degli Studi di Ferrara
755. Silvia Stefani, Università di Torino
756. Silvia Vida (Univ. Bologna)
757. Silvia Vignato, Università Milano-Bicocca
758. Silvio Dolfi (Univ. Firenze)
759. Simona Antolini, Univ. degli studi di Macerata
760. Simona Pergolizzi (Univ. Messina)
761. Simone Ciofi Baffoni (Univ. Firenze)
762. Simone Neri Serneri, Univ. Di firenze
763. Simone Paolo (Sapienza Roma)
764. Simone Vieri (Sapienza Roma)
765. Simonetta Bottarelli (Univ. Siena)
766. Sofia Ciuffoletti (Univ. Firenze)
767. Sotera Fornaro – Università di Sassari
768. Stefania Consigliere, Università di Genova
769. Stefania De Vido, Università Ca’ Foscari Venezia
770. Stefania Gialdroni (Roma Tre)
771. Stefania Paone, Università della Calabria.
772. Stefania Taviano (Univ. Messina)
773. Stefania Veltri, Università della Calabria
774. Stefano Acierno, Università degli Studi del Sannio di Benevento.
775. Stefano Anastasia (Univ. Perugia)
776. Stefano Ba’ (Leeds Trinity University)
777. Stefano Bartolini (Univ. Siena)
778. Stefano Bory (Federico II Napoli)
779. Stefano Bruni (Univ. Ferrara)
780. Stefano Caneva, Univ, di Padova
781. Stefano Capparelli, Sapienza Università di Roma
782. Stefano Giovannuzzi (Univ. Perugia)
783. Stefano Pagliantini (Universita di Siena)
784. Stefano Pietropaoli Università di Salerno
785. Stefano Semplici (Tor Vergata Roma)
786. Stefano Simonetta (Univ. Milano)
787. Stefano Velotti (Sapienza Roma)
788. Stefano Zirulia, Università degli Studi di Milano
789. Stella Merlin Università di Verona
790. Sussana Pozzolo (Univ. Brescia)
791. Sveva del Gatto (Roma Tre)
792. Tania Toffanin (Univ. Padova)
793. Tecla Mazzarese (Univ. Brescia)
794. Teresa Abate (Federico II Napoli)
795. Tiziana Ferreri (Univ. Siena)
796. Tommaso di Marcello (Univ. Roma Tre)
797. Tommaso Greco, Univ. di Pisa
798. Tullio Fenucci (docente unisa)
799. Ubaldo Fadini (Univ. Firenze)
800. Ugo Carlone (Univ. Perugia)
801. Gianfranco Cartei (Univ. Firenze)
802. Ugo Fantasia Università di Parma
803. Umberto Roberto, Università Europea di Roma
804. Umberto Roma, Univ. di Padova
805. Valentina Gritti (Univ. Ferrara)
806. Valentina Pazé (Univ. Torino)
807. Valeria Ferraris, Univ. di Torino
808. Valerio Casadio, Università di Roma “Tor Vergata”
809. Valerio Marotta (Univ. Padova)
810. Velia Minicozzi (Roma Tor Vergata)
811. Venanzio Raspa (Univ. Urbino)
812. Veronica Valenti (Univ. Parma)
813. Vincenza La Fauci (Univ. Messina)
814. Vincenza Pellegrino (Univ. Parma)
815. Vincenzo Cicero (Univ. Messina)
816. Vincenzo Lavenia (Univ. Bologna)
817. Vincenzo Omaggio Università Università Suor Orsola Benincasa
818. Vincenzo Pacillo, Univ. di Modena e Reggio Emilia
819. Vincenzo Romania (Univ. Padova)
820. Vincenzo Scalia (Univ. Winchester)
821. Vincenzo Vaiano (Univ. Salerno)
822. Vincenzo Valori (Univ. Firenze)
823. Vincenzo Venditto (Univ. Salerno)
824. Vito Leccese (Univ. Bari)
825. Vittoria de Nitto, Università Tor Vergata Roma
826. Walter Lapini, Università di Genova
827. Zeffiro Ciuffoletti (Univ. Firenze)
828. Luisa Prandi, Università di Verona
829. Francesco Camia, Univ. Sapienza Roma
830. Giulia Arena, Università di Genova
831. Francesco Stellato, Università Tor Vergata, Roma
832. Giulio Cimini, Università Tor Vergata, Roma
833. Alessio Porretta, Università Tor Vergata, Roma
834. Stefano Trapani, Università Tor Vergata, Roma
835. Angela Di Pietro, Università di Messina
836. Raffaele Molinari, Università della Calabria
837. Lucia Veltri, Università della Calabria
838. Francesco Mazza, Università della Calabria
839. Maria Nuzzaci, Università degli Studi della Basilicata
840. Natascia Mattucci (Università di Macerata)
841. Sabrina Pavone (Università di Macerata)
842. Raffaella Niro (Università di Macerata)
843. Francesco Bartolini (Università di Macerata)
844. Sergio Amato (Univ. Siena)
845. Simone Borghesi (Univ. Siena)
846. Silvia Ferrini (Univ. Siena)
847. Gianni Silei (Univ. Siena)
848. Pietro Masala (Univ. Siena)
849. Raffaele Lenzi (Univ. Siena)
850. Eva Lehner ((Univ. Siena)
851. Giovanni Minnucci (Univ. Siena)
852. Laura Castaldi (Univ. Siena)
853. Paolo Venturi (Univ. Siena)
854. Alessandra Viviani (Univ. Siena)
855. Gerardo Pellegrino Nicolosi (Univ. Siena)
856. Elisa Ticci (Univ. Siena)
857. Tiziana Ferreri (Univ. Siena)
858. Luciano M. Fasano (Univ. Milano)
859. Alberto Battistini (Univ. Siena)
860. Andrea Pellizzari, Università degli Studi di Torino
861. Devi Sacchetto, Univ. di Padova
862. Fabrizio Oppedisano, Scuola Normale Superiore
863. Egidia Occhipinti, Univ. di Palermo
864. Michelangelo Conoscenti (Università di Torino)
865. Maria Chiara Pievatolo (Univ. di Pisa)
866. Chiara Carsana, Univ. di Pavia
867. Irene Fosi, Università degli Studi “G. d’Annunzio”Chieti
868. P. Davide COZZOLI (Univ. Salento)
869. Federica Fontana (Univ. Ferrara)

 

Docenti senza corpo

di Anna Angelucci
(Roars, 7.6.2020)

[Rinunciare ai corpi significa per gli umani rinunciare all’intelligenza, che della corporeità è espressione e forma. Lo dimostrano anche decenni di studi, ormai, sull’Artificial Intelligence. E tuttavia, consistenti interessi economici, pigrizia intellettuale – un peccato mortale per chi fa dello studio la propria professione –, ingenuità collettive, superstizioni tecnologico-sanitarie e inadeguatezze dei decisori politici rischiano di spegnere la conoscenza dentro la fredda iridescenza della distanza; spegnendo con essa il meglio delle società umane]

 

Nessun vero piano di investimenti sulla scuola reale è all’orizzonte dei nostri decisori politici. La dematerializzazione, imposta non dal virus ma dagli interessi economici dell’industria produttiva 4.0, cambia definitivamente scuola e università del futuro. Al ‘corpo docente’ si sostituirà un docente senza corpo, relegato nel web. Perché questo è ciò che impone il soluzionismo tecnologico (e tecnocratico) imperante. Nella visione della task force che, insediatasi al MIUR, sta immaginando la scuola ibrida del futuro, anche la fisicità è considerata una piattaforma [1]. Non più dunque una dimensione o, meglio ancora, la condizione umana.  Siamo definitivamente disposti ad accettarlo?

***

La locuzione latina habeas corpus viene posta in Occidente a fondamento giuridico della salvaguardia della libertà individuale contro detenzioni arbitrarie ed extragiudiziali. Il principio di inviolabilità dei diritti fondamentali della persona avviene, in primis, attraverso il riconoscimento del suo corpo materiale, che non può essere sottoposto ad alcuna violenza fisica o morale, né arbitrariamente violato in alcun modo. La tecnologia digitale e l’uso pervasivo dei suoi strumenti in settori sempre più ampi della nostra vita privata e sociale stanno incidendo profondamente sul concetto di persona, anche rispetto alla nostra stessa auto-percezione. E, con la diffusione incrementale di pratiche di dematerializzazione, possibili proprio in ragione dei nuovi strumenti informatici, anche il concetto di persona fisica insieme al perimetro del nostro corpo stanno vertiginosamente cambiando. Non sono pochi gli scienziati che attribuiscono allo smartphone la funzione di un nuovo arto, né quanti studiano le modifiche dei nostri apparati motori e gestuali a partire dalle mani, strutturatisi nel tempo lungo dell’evoluzione, alla luce dei nuovi usi di questi artefatti digitali. Al nostro corpo fisico – che continua a soddisfare i suoi bisogni materiali essenziali in una quotidianità apparentemente immutata nelle sue condizioni biologiche costanti – si sta progressivamente accostando un alter ego digitale, plasmato attraverso le innumerevoli informazioni personali che ciascuno di noi nel mondo, più o meno liberamente, cede alle aziende di big data analitycs and intelligence: il risultato sembra essere oggi l’istituzione del principio della profilazione come nuova creazione collettiva dell’individuo del terzo millennio, protagonista di una second life virtuale che sempre più si sostituisce e marginalizza la vita reale.

Scuola e università sembravano resistere, se pure a fatica, a questo processo di naturalizzazione della trasformazione digitale dell’umanità e del mondo. Una trasformazione che rifiuta qualunque contrapposizione tra virtuale e reale in nome della tecnologia che abbatte questa distinzione e che rende il virtuale reale giocando sulla percezione che noi abbiamo del fenomeno, indipendentemente dalle sue proprietà intrinseche. Ma se questa è la condizione umana del bambino o dell’adolescente nativo digitale, certamente non lo è per la stragrande maggioranza dei docenti della scuola e dell’università, in larga parte indisponibili alle lusinghe dell’industria produttiva 4.0, che da anni tenta di afferrare la didattica con la sua longa manus per fare profitti in un segmento di mercato ancora piuttosto vergine.

Come docenti, non abbiamo accettato la consegna dei corpi e la resa incondizionata alle LIM, ai tablet, ai computer e agli smartphone come surrogati delle nostre lezioni in presenza. Non abbiamo smesso di parlare, di spiegare, di studiare, di fare ricerca e raccontare ai nostri studenti quanto venivamo imparando strada facendo o avevamo imparato in passato, desiderosi di trasmetterlo a loro, nel circolo virtuoso di un pensiero e di una cultura instancabilmente critici. E quanto più scuola e università venivano assediate e lentamente penetrate da venditori di prodotti informatici d’ogni tipo, e quanto più le istituzioni pubbliche e i Governi si facevano portavoce delle istanze private dei piazzisti dell’istruzione [2] abilmente dissimulati in eleganti think tank che mescolano il gotha dell’imprenditoria confindustriale con i nomi rasserenanti dei benpensanti di centrosinistra, tanto più scuola e università hanno opposto una resistenza fisica, in alcuni casi oserei dire pre-politica, all’egemonia culturale e al dominio materiale delle nuove tecnologie digitali. Al netto, naturalmente, della fisiologica quota degli ingenui fiduciosi, dei collaborazionisti e dei mestatori sempre presenti in ogni momento della Storia.

L’emergenza sanitaria sembra invece offrire oggi un’occasione ghiottissima ai fautori della definitiva dematerializzazione dei processi di conoscenza. Le ragioni del distanziamento sociale imposte dalle condizioni di protezione della salute dei cittadini, che impattano su una scuola e una università pubbliche già devastate dal progressivo smantellamento capitalistico di decenni di politiche neoliberiste in tagli dissennati, disinvestimenti, mancate assunzioni, abbandono a sé stesse e alla loro miseria di gran parte delle istituzioni preposte all’istruzione e alla formazione, non sembrano lasciare scampo alla resa a una didattica a distanza divenuta, da emergenziale, ordinaria; da presente, a futura; da provvisoria, a definitiva.

Ne, magister, habeas corpus, ci dicono il Governo, la Ministra, la task force preposta alla ricostruzione della scuola a settembre, che se a parole e con tanta retorica all’ingrosso vagheggiano di scuola nei parchi, nei boschi, nelle biblioteche e nei musei, nei fatti investono 550 milioni di euro per la banda larga, dopo gli 85 milioni di euro di febbraio per l’acquisto urgente di tablet e pc, e ulteriori poche centinaia di milioni di euro con l’ultimo Decreto Rilancio solo per il potenziamento delle strutture per la didattica a distanza e l’adeguamento della strumentazione informatica. Un vero piano di investimenti sulla scuola prevederebbe ampliamenti strutturali e costruzione in tutta Italia di nuovi edifici scolastici ecosostenibili, con pannelli solari e fotovoltaici per la produzione di energia pulita, con aule ampie e palestre degne di questo nome, per gli studenti e per gli abitanti del quartiere. Un investimento culturale e materiale che davvero contribuirebbe a mettere in moto l’economia del nostro Paese, cui si prospettano anni terribili di recessione e disoccupazione senza precedenti.

Ma questo presuppone una concezione incorporata e creaturale della cultura, dell’istruzione e della formazione come occasione di crescita personale e volàno di progresso umano e sociale prima ancora che economico; una concezione che al soluzionismo tecnologico (e tecnocratico) e alla ‘levigata’ data-crazia imperanti non interessa; anzi, se possibile, nuoce. Nella visione della task force che, insediatasi al MIUR, sta immaginando la scuola ibrida del futuro, anche la fisicità è considerata una piattaforma.

Dipende solo da noi insegnanti, a questo punto, capire che la vera posta in gioco col nostro corpo è il futuro stesso della scuola, dell’università, del Paese. E decidere che in aula, con i nostri studenti e per i nostri studenti, quel corpo, con tutto ciò che significa, lo pretendiamo ancora.

[1] https://www.roars.it/online/a-radio-popolare-il-progetto-di-scuola-ibrida-targata-azzolina/

[2] Rosssella Latempa, Scuola e valutazione ai tempi del Covid, tra Fondazione Agnelli e Invalsi, “ROARS”, 30 marzo 2020.

Dalla Germania una difesa della didattica in presenza

Zur Verteidigung der Präsenzlehre
Una lettera aperta delle Università tedesche (3.6.2020)

[Il documento che presentiamo è in questi giorni sottoscritto da centinaia di docenti delle Università tedesche ed europee. Si intitola In difesa dell’insegnamento in presenza. Traduciamo e riassumiamo le sue tesi principali:

“Gli ultimi anni hanno visto il diffondersi dell’insegnamento digitale prima come supporto all’insegnamento in classe, poi come integrazione, e infine come possibile alternativa; ora, con il Coronavirus, anche come una felice salvezza”.

Ma tuttavia è da ricordare che:

1. L’università è un luogo di incontro. Conoscenza, approfondimento, critica, innovazione: tutto ciò è possibile soltanto grazie alla condivisione dello spazio sociale.
2. Lo studio è un momento di vita collettiva. Durante gli studi, gli studenti sviluppano legami, amicizie, condivisioni che sono di essenziale importanza. La vita in comunità non può essere riprodotta in forme virtuali.
3. L’insegnamento universitario si basa su uno scambio critico, fondato sulla collaborazione e la fiducia  tra persone adulte e mature. La sociologia, la pedagogia, le scienze cognitive e le scienze umane concordano tutte sul fatto che il dialogo in presenza è sempre la condizione migliore. Anche questo non può essere trasferito in forme virtuali senza subire perdite consistenti .

Tre aspetti: guardando a questi, vogliamo ricordare il valore dell’insegnamento in classe. Chiediamo un attento, graduale e autonomo ritorno alla didattica in presenza.

Il Corona virus non dovrebbe diventare un’occasione per implementare modalità di insegnamento la cui validità è stata apertamente e criticamente messa in discussione prima del virus.

L’insegnamento in presenza deve essere difeso come fondamento di una vita universitaria integrale”.


Pubblichiamo qui sotto il documento completo.

In den letzten Jahren haben sich an den Hochschulen Elemente einer digitalen Lehre immer mehr durchgesetzt: zunächst als Unterstützung der Präsenzlehre, dann als deren Ergänzung oder gar als eine mögliche Alternative, und nun, mit Corona, als glückliche Rettung. Und in der Tat: Ohne digitale und virtuelle Formate hätte sich das Sommersemester 2020 nicht durchführen lassen. Und auch grundsätzlich leisten digitale Elemente mittlerweile einen wertvollen Beitrag zur Hochschullehre. Im Gefühl des plötzlich möglichen digitalen Sprungs nach vorn drohen indes drei Aspekte verloren zu gehen, die unserer Überzeugung nach von grundlegender Bedeutung für das Prinzip und die Praxis der Universität sind:

1. Die Universität ist ein Ort der Begegnung. Wissen, Erkenntnis, Kritik, Innovation: All dies entsteht nur dank eines gemeinsam belebten sozialen Raumes. Für diesen gesellschaftlichen Raum können virtuelle Formate keinen vollgültigen Ersatz bieten. Sie können womöglich bestimmte Inhalte vermitteln, aber gerade nicht den Prozess ihrer diskursiven, kritischen und selbständigen Aneignung in der Kommunikation der Studierenden.

2. Studieren ist eine Lebensphase des Kollektiven. Während des Studiums erarbeiten sich die Studierenden Netzwerke, Freundschaften, Kollegialitäten, die für ihre spätere Kreativität, ihre gesellschaftliche Produktivität und Innovationskraft, für ihren beruflichen Erfolg und ihre individuelle Zufriedenheit von substantieller Bedeutung sind. Dieses Leben in einer universitären Gemeinschaft kann in virtuellen Formaten nicht nachgestellt werden.

3. Die universitäre Lehre beruht auf einem kritischen, kooperativen und vertrauensvollen Austausch zwischen mündigen Menschen. Dafür, so sind sich Soziologie, Erziehungs-, Kognitions- und Geisteswissenschaften völlig einig, ist das Gespräch zwischen Anwesenden noch immer die beste Grundlage. Auch dies lässt sich nicht verlustfrei in virtuelle Formate übertragen.

Mit Blick auf diese drei Aspekte wollen wir den Wert der Präsenzlehre wieder in Erinnerung rufen. Wir fordern eine – vorsichtige, schrittweise und selbstverantwortliche – Rückkehr zu Präsenzformaten. Was die Schulen zu leisten in der Lage sind, sollte auch Universitäten möglich sein: die Integration von Elementen der Präsenzlehre, etwa in kleineren Gruppen in größeren zeitlichen Abständen, je nach Bedarf, je nach lokalen Gegebenheiten. Einzelne Universitäten, einzelne Fakultäten könnten hier individuelle, verantwortliche Modelle entwickeln.

Wir weisen auf die Gefahr hin, dass durch die aktuelle Situation die herkömmlichen Präsenzformate an Wertschätzung und Unterstützung durch die Hochschulleitungen, die Bildungsministerien und die Politik verlieren könnten, eine Unterstützung, die sie in der Zeit nach Corona dringend brauchen werden. So sinnvoll und wichtig Maßnahmen zur Bekämpfung des Virus sind: Corona sollte nicht zu einer nachgereichten Begründung für Entwicklungen in der Lehre werden, die vor Corona offen und kritisch diskutiert wurden. Diese kritischen Debatten dürfen nicht durch scheinbare Evidenzeffekte, wie sie die Pandemie bisweilen produziert, abgekürzt werden.

Die Präsenzlehre als Grundlage eines universitären Lebens in all seinen Aspekten gilt es zu verteidigen.

DAD or DEAD? Dall’amor de lonh alla didattica de lonh

di Francesco Gallina
(1.6.2020)

È successo. È successo che un virus ha portato la scuola liquida al suo ultimo stadio evolutivo. Lo stadio più avanzato. Doveva succedere. Era inscritto teleologicamente da qualche parte: non l’avvento del virus, no, ma l’ingiunzione della didattica a distanza quale metodo pervasivo del fare scuola. Era predestinato nell’idea di società liquida, che equivale a dire annichilimento delle certezze, esaltazione della confusione, sacra religione della precarizzazione, eternizzazione della crisi, rimozione dei corpi. Corpi liquidi, per l’appunto, senza meta. Corpi fantasmatici. Ma la scuola è una forma di artigianato, è un fare concreto, non liquido: ché con i liquidi si “riempiono” solo gli imbuti. E soprattutto è un fare in presenza, fatto di corpi e di pensiero, esso stesso corpo dotato di un suo peso specifico che si nutre di esperienze vive, vivificanti.

È successo che si è accarezzato, e lo si accarezza tuttora da parte di molti, il sogno visionario (una distopia, a dire il vero) di trasformare una pandemia in un ripensamento radicale dello statuto ontologico della didattica da esportare e applicare al di là dei confini della pandemia stessa, iniettandolo a forza nella futura, prossima, quotidianità della trasmissione del sapere. Non dunque una fase di passaggio, non solo una meditazione ponderata su di un’auspicabile compenetrazione fra didattica in presenza e didattica a distanza, ma una vera e propria sottomissione al diktat distanziatico che si traduce, poi, concretamente, nella produzione dei braccialetti anticovid e nella configurazione dell’ambiente classe in boxes, distanziati posteggi, che fanno anche rima con ‘parcheggi’. Ma l’aula è tutto fuorché un parcheggio. Chi vi lavora sa che l’aula è un laboratorio didattico perenne, un microcosmo in cui tutto si tiene, dalla gestione delle pareti alla disposizione dei banchi così come di ogni altro elemento, assetto sempre funzionale a garantire quell’efficienza e quell’inclusività che la connaturata parcellizzazione della DAD scarnifica e sacrifica. Pratica pedagogica potenzialmente degenerante per la crescita e lo sviluppo cognitivo degli alunni se usata a sproposito e in modo “abusivo”, la DAD nella sua forma totalizzante è il vessillo di una scuola dimezzata, come il visconte calviniano. Così come una scuola imbacuccata nelle mascherine, negli elmi e nella dittatura utopica delle distanze che, fra l’altro, inibiscono il gioco (quello concreto, non la gamification), importante stimolatore di processi di apprendimento.

È successo che la pandemia, come ogni “buona” pandemia che si rispetti (Boccaccio ci sta leggendo, e ci giudica dall’alto), ha slatentizzato desideri già in fermento e ha estrapolato dal suo cappello a cilindro interpretazioni deformate e deformanti della realtà, e dunque della scuola, che della realtà è specchio e cartina tornasole.

È successo che si sia sfoderata la retorica che vorrebbe che da una crisi nasca per forza qualcosa di buono, che in una situazione catastrofica quale quella causata dal Covid19 possa nascondersi una straordinaria opportunità di rivoluzione, quando in realtà si tratta – per usare le parole di Luciano Canfora (treccani.it, 13.5. 2020) – «di un disagio del quale liberarsi quanto prima, mentre c’è chi invece teorizza che si sia aperta una prateria di cose meravigliose». Ed è successo che ci si è messa di traverso anche la virologia in salsa massmediatica, che ha mandato in tilt l’Italia intera, infiltrando terrore in ogni poro, al suono di “Lo dice la Scienza” (ecco, appunto, che cosa dice? che non s’è mica ancora capito). È vero: le crisi non possono e non devono essere sprecate. E proprio perché la parola ‘crisi’ implica etimologicamente una decisione, una scelta, è bene che questa miri a un vero beneficio.

È successo che si sia passati dal provenzale amor de lonh alla didattica de lonh. Che se il fare scuola in presenza è una eccezionale forma di erotica che si fonda sulla buona coltivazione dei saperi e delle intelligenze, la didattica a distanza è esattamente il suo opposto, fatto di assenza e ricerca inappagata dei corpi e dei loro pensieri, schiacciati e appiattiti come lo sono gli schermi dai quali traspaiono. Non solo la parola assume la consistenza del flatus vocis, ma si perde e si banalizza con essa la prossemica, la cinesica, l’oggettemica, persino la vestemica. Si perde di vista la vita: DAD or DEAD? This is the question.

È successo che l’ultimo grado della scuola liquida costituisse anche l’integrale infrazione degli spazi, dei limiti e dei ruoli. Mai era successo nella Storia che gli alunni entrassero nelle case dei docenti, e viceversa. E mai era successo che i docenti non potessero più vedere in molti casi i volti dei loro alunni, le loro reazioni, le loro voci o per questioni di privacy o per questioni… altre. Mai era successo che la scuola si riducesse a una chat, a un link, a una conference call, a un conglomerato di pixel. Mai era successo che la scuola divenisse un fantasma, nonostante i compiti sulla bacheca, i moduli di Google, i video su Youtube.

È successo, infine, che un virus ha cambiato il volto della scuola – sembra – in modo decisivo varcando il perimetro della fase emergenziale, che ha preso le forme di una generalizzata ‘prova generale’ in vista di qualcosa che è altro rispetto all’emergenza. Sembra che lo strumento tecnologico, fondamentale se usato cum granu salis, abbia soppiantato con successo le relazioni complesse della scuola della Costituzione, in vista di una scuola settembrina che su carta pare più un incubo che una scuola (che ne sarà, ad esempio, dei laboratori professionalizzanti?). Il virus è diventato per alcuni un elettrostimolatore, l’occasione aurea per dare finalmente corpo a una nuova scuola che corpo, però, non ha.

Non è così bello e stimolante

di M. G.
(1.6.2020)

Sono la mamma di una bambina di sette anni, che frequenta la seconda elementare: sono impiegata nell’ufficio di un’azienda, so usare un pc e ne possiedo due (uno privato e uno aziendale), a casa abbiamo la fibra. È questa, incredibilmente, una situazione ottimale rispetto a tante altre. Inoltre, al momento della chiusura delle scuole, stavo trascorrendo a casa gli ultimi mesi di maternità.

La mia bambina ha affrontato con una forza ed uno spirito di adattamento incredibili questa situazione nuova e complessa fatta dapprima di schede da stampare, completare ed incollare sul quaderno, che però nessun insegnante vedeva e valutava, poi di esercizi di ripasso sul quaderno o sul libro che, di nuovo, nessuno poteva vedere, correggere, apprezzare, valutare. Sono quindi iniziati brevi video di spiegazione di nuovi argomenti: 5-7 minuti in media, alle volte 3 minuti, alle volte 11.

I video sono rassicuranti: si sente la voce della maestra, si vedono i libri in versione digitale; alcune maestre fanno lo sforzo di mostrarsi in video, rimanendo presenti nel piccolo riquadro in basso a destra del monitor. Ci sono gli esercizi interattivi, le lezioni da ricopiare sui quaderni, le verifiche da eseguire online e spedire via mail.

E poi c’è l’entusiasmo per la scuola e tutte quelle bellissime cose nuove da imparare. Entusiasmo che, dopo poche settimane, inizia a venire pian piano meno. Nei video, le voci delle maestre guidano i bambini alla scoperta di qualcosa di nuovo ogni giorno ma la mia è una bambina di sette anni che, come i suoi compagni, ama la scuola, ama viverla, ama stare in classe e alzare la mano per intervenire mentre la maestra spiega. E chiedere alla mamma non è così bello e stimolante. Allora cambia qualcosa: ricopiare le lezioni sul quaderno non è più così entusiasmante e anche le video-lezioni perdono un bel po’ di fascino.

Per fortuna arrivano le video-conferenze: così vediamo le maestre, alcuni compagni (5 o 6 bambini per volta), apri e chiudi il microfono, “mamma, faccio io!”, “mamma è stato bello, quando lo rifacciamo?”. Però vedo l’entusiasmo diminuire lo stesso poco alla volta ogni giorno.

Ecco, il computer rimane sempre una bella novità e allora mi accorgo che se mi allontano lei si sente grande: completa gli esercizi interattivi e li invia alla maestra da sola, controlla i nuovi e vecchi compiti sul registro elettronico. Dai, faccio uno sforzo (per me adesso lo è) e la lascio fare da sola, così si sente più responsabilizzata e proviamo a dare una svolta a questo momento di stallo. È strano vederla lì seduta da sola, mi sembra cresciuta così in fretta. Forse è anche più alta.

Sono la mamma di una bambina di sette anni e di un bambino di otto mesi. Una bambina ADHD che frequenta online la seconda elementare da fine febbraio.
Sono stata ammalata per quasi due mesi e altrettanto, con tutta la famiglia, sono rimasta in isolamento, anche quando, finalmente, si sarebbero potuti rivedere i familiari.

Siamo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia del registro elettronico, sfugge ancora qualche tabellina, e non è facile ricordare ciò che la DAD ha cercato di trasmettere. Proviamo ad alimentare ogni giorno, non senza fatica, l’entusiasmo per le cose nuove, aggrappandoci alla voce rassicurante delle maestre, ai visi dei pochi compagni durante le video-conferenze e a quel pc da usare in autonomia per sentirsi, forse, troppo grandi.

Sull’autoritarismo della didattica a distanza

di Davide Viero
(roars – 28.5.2020)

[Questo testo ha il merito di riassumere le questioni fondamentali della cosiddetta didattica a distanza ponendole tra loro in una relazione a volte sorprendente ma anche per questo illuminante: la percezione del tempo, gli interessi economici delle Corporationsil compimento di un percorso che viene da lontano, il feticismo descritto da Baudrillard, la standardizzazione e dunque l’impersonalità -vale a dire la dissoluzione stessa del fatto educativo-, il nozionismo elevato a sistema formativo, il nucleo ideologicamente e prassicamente autoritario di tutte queste dinamiche] 

L’educazione si caratterizza per il suo particolare dislocamento tra piani diversi: tra presente e futuro, tra visibile ed invisibile, tra ancora e non ancora. Proprio in virtù di questo fatto l’agire educativo non può procedere in modo automatico, bensì deve essere la risultante di un soggetto che tiene presente una molteplicità di fattori. In particolar modo, deve tenerli tutti presenti nella  mediazione col fine di ogni insegnamento, ovvero con l’infinito compimento dell’allievo. Di ogni allievo.

Se già Marx aveva intuito che le trasformazioni avvengono sempre su base materiale, si tratta oggi di dover decidere se subire le trasformazioni che la realtà ci mette di fronte, oppure se creare nuove condizioni materiali rispondenti al fine coincidente con questo compimento dell’uomo. Insegnare, in questo caso, non vuol dire dare risposte immediate alle domande, ma capire le condizioni che hanno fatto sorgere queste domande e rispondere a quelle. L’insegnante è quindi colui che attiva una mediazione utopico/ideale.

Parimenti, se risulta importante considerare le condizioni materiali che generano la realtà presente, altrettanto rilevante è la considerazione delle conseguenze che questa realtà produce.

L’oggetto che sottoporrò attraverso questo prisma è la didattica a distanza (DaD) o teledidattica in assenza. Essa non è che l’epitome delle trasformazioni che hanno inondato la scuola nelle ultime decadi. Mi soffermerò in modo sommario sulle condizioni di esistenza che l’hanno resa possibile e fatta accettare senza riserve dalla maggior parte dei docenti, ovvero un adeguamento della scuola e degli studenti al contesto epocale, tanto che esso è affermato spudoratamente quasi fosse naturalmente coincidente col bene di ogni soggetto, che così viene individuato attraverso canoni stabiliti a priori dalla razionalità dominante. La sua sempre maggiore astrazione/oggettivazione generale accresce l’importanza del raggiungimento di obiettivi demarcati ed esterni al soggetto, con l’inversione mezzi-fini già individuata da oltre un secolo dai più illuminati pensatori. Mezzi divenuti centrali perché permettono il raggiungimento degli obiettivi così posti. Questi diventano un criterio di selezione anche se, per lavarsi la coscienza in un’epoca dove l’inclusione è il velo di Maya, si nasconde l’incuranza verso gli unfitnesscon sigle quali DSA, BES, ADHD con le quali vengono dispensati o compensati con ulteriori strumenti oggettivati e pratiche standardizzate nell’indifferenza verso il ragazzo. Quando l’adeguamento all’esterno assume sempre più valore, la scuola passa da istituzione collettiva ad istituzione elitaria, con una somministrazione dell’educazione dispensata per coorti.

In questo scenario la mediazione informatica epocale diventa quella che Baudrillard chiama matrice (con conseguenze performative e preformatrici), nuovo sacro Graal che attira orde di feticisti, tali perché invece dell’uomo essi mettono al centro l’oggetto, il mezzo, ovvero la sinestesia.

Per quanto concerne le condizioni di esistenza, ci bastino queste molto sommarie riflessioni. Diventa ora centrale analizzare le conseguenze della DaD attraverso la mediazione utopico/ideale. Che scuola ne esce? Chi è privilegiato? Chi sono gli oppressi? Vengono prodotti degli scarti?

Importante rilevare preliminarmente che, nella DaD, la scuola pubblica non è più tale, dato che è la risultante di una commistione pubblico-privato. Infatti in tale didattica si fa affidamento su dispositivi privati, quali computer, tablet, telefoni, reti di connessione che, per quanto la scuola si sforzi di dotare le famiglie con il comodato d’uso di tali strumenti, essi non saranno mai sufficienti per tutti.

Inoltre è importante rilevare come il Ministero dell’Istruzione non sia sia dotato di una piattaforma su cui attivare la DaD, per cui è costretto a fare affidamento a servizi offerti dai grandi della Silicon Valley, con Google a  fare la parte del leone; con la conseguente raccolta dati quali la velocità di esecuzione, gli interessi, gli argomenti trattati, il livello di bravura etc. Tutti dati che, nonostante l’informativa privacy, vengono raccolti e, anche se non ceduti a terzi o solo aggregati in forma anonima, vengono utilizzati (è esplicitamente affermato) per scopi di implementazione della piattaforma. Che cosa sia questa implementazione nessuno lo sa, anche se è facile intuirlo vista qual è stata la strategia vincente di Google sul mercato della pubblicità.

Fare affidamento sul privato è oltretutto fonte di enormi differenze tra chi vive in città e chi in frazione. Questo perché, data la diversa redditività dei servizi, gli investimenti si concentrano dove c’è addensamento di popolazione, tralasciando le periferie. Qui le reti di connessione sono perciò molto più scadenti che nei centri urbani, con conseguenze didattiche rilevanti.

Inoltre, delegando gran parte dell’azione didattica alle famiglie, gli effetti di questa sui ragazzi non possono che essere la conseguenza delle caratteristiche delle stesse famiglie, in un movimento confermativo e non emancipante. I figli di genitori con titoli di studio più elevati avranno maggiori vantaggi, al pari di chi avrà genitori a casa dal lavoro; diversamente svantaggiati saranno quei ragazzi senza colpa figli di genitori che lavorano o che sono affidati a nonni poco tecnologici o chi per essi.

Inoltre ogni famiglia deve disporre di tanti strumenti quanti sono i figli e, in caso di connessione, essa va divisa tra coloro che la usano, penalizzando le famiglie con più figli e meno abbienti.

Altro punto critico è dovuto all’annullamento dei confini nell’era telematica dove tutto si equivale sullo stesso piano, e ciò è riscontrabile a diversi livelli. Il primo è la perdita del controllo da parte della scuola rispetto alle condizioni di fruizione e ricezione della lezione a distanza, che come abbiamo visto varia enormemente in relazione ai fattori contestuali. Inoltre la lezione, una volta mandata nell’etere, può essere fruita dal mondo intero, registrata, modificata e ripetuta ad libitum per qualsiasi scopo, con quello che Baudrillard chiama “il delitto perfetto”, ovvero la perdita della referenza ad un qualcosa di reale, con il conseguente svanimento della verità.

Tale perdita di controllo la si ha anche nella valutazione, dal momento che la misura stessa non è più controllabile, perché infinite sono le variabili che la condizionano: dal genitore che suggerisce  fino a tutti gli altri escamotage verso cui il docente rimane cieco. Inoltre, grazie all’enorme  influenza della famiglia nella didattica, la valutazione cade sotto i colpi della misura stessa, inverando l’acuta riflessione di don Milani secondo la quale “non c’è cosa più ingiusta che fare parti uguali tra disuguali”.

La perdita di confini con il conseguente appiattimento su di una monodimensione la si riscontra anche nel rapporto col tempo. A tutte le ore ci sono comunicazioni da parte dei docenti, con la conseguenza che salta la distinzione tra le temporalità diverse che caratterizzano la giornata.

L’appiattimento su di un’unica dimensione si verifica anche grazie all’uso di dispositivi connessi e potentissimi nelle mani di ragazzi/bambini che non posseggono ancora una struttura propria attraverso la quale attribuire senso a ciò in cui si imbattono. Col pericolo di una formazione immediata o diversamente mediata, senza più filtri di educatori consapevoli che possiedono cultura e sapere. Inutile rimarcare come l’opera della scuola dovrebbe essere soprattutto un’opera di mediazione, attraverso il passaggio tra più dimensioni, proprio per superare l’immediatezza dello stato di natura.

Un altro aspetto che la DaD chiama in causa, contrariamente alla vulgata riferita al suo carattere inclusivo verso quegli alunni con particolari problematiche, è proprio l’elevato tasso di oggettivazione e standardizzazione con cui essa si presenta. Infatti la lezione è uguale per tutti, tanto più se essa è registrata così da non permettere la modulazione e le interazioni maestro-allievo sul contenuto. Essa non rende giustizia all’allievo, di cui non coglie i disagi, gli entusiasmi, le difficoltà e le passioni, ovvero ciò che Simmel chiama la base di ogni lezione. Ma questa ingiustizia si propaga anche dall’altra parte del filo, ovvero il versante dell’insegnante che non può suscitare aspettative e curiosità anche solo con un’inflessione della voce o con la sola presenza, controllate con la maestria dell’esperienza; tutte possibilità significative di risveglio negate per ogni singolo in quel preciso istante.

Se queste sono solo alcune riflessioni quasi immediate, se ne possono fare anche di relative alla sfera epistemologica. Infatti la DaD non è solo una didattica diversa: è un diverso modo di intendere l’educazione e l’insegnamento, frutto di una razionalità strumentale dove, all’accresciuto peso dell’esterno in forma di obiettivo da raggiungere, primeggiano i concetti di efficacia ed efficienza, al di là o ben prima di ogni demarcazione frutto del senso centrato sull’uomo. Questa didattica non fa che assumere, senza più remore e diventandone anzi un vettore, la razionalità che produce il modello liberista ormai tralignante in tutti gli ambiti della vita. Un modello incurante nel rimuovere gli ostacoli al compimento di sé, perché incentrato su obiettivi specifici esterni e sull’individualismo con cui ci si relaziona ad essi. Il liberismo non si interroga mai sull’uomo e sulla sua situazione di partenza, ma volge il suo sguardo solo sui punti di arrivo e, in questa corsa iper competitiva e selettiva, nessuna attenzione è rivolta verso chi è rimasto indietro per molteplici cause; al contrario la soluzione proposta da parte di tale razionalità alle difficoltà, sembra essere quella di un’ulteriore liberizzazione e competitività al di fuori di lacci e lacciuoli che non fa altro che accrescere la malattia con un’ulteriore inoculazione di virus.

Nella DaD, quindi, il discorso educativo ratifica ed accentua le disparità già presenti, allargando il fossato tra i sommersi e i salvati. Ciò preclude il compito dell’educazione nel sovvertire l’ordine della natura, fondato sulla selezione del più adatto, a favore di un ordine umano in cui ci sia il compimento di tutti. Nelle parole di un dirigente scolastico (o forse solo un venditore sotto mentite spoglie) ascoltate a distanza, tutto si esaurisce con: “L’importante è che noi offriamo un servizio”; ovvero la DaD, indipendentemente dal fatto se essa sarà fruibile da tutti (e perciò selettiva) e in che modo verrà recepita, evidenziando un’autoreferenzialità che annulla ogni spirito di servizio, in una colpevole dimenticanza dell’uomo che nella scuola assume il volto di ogni studente.

La DaD è perciò un debole surrogato di un servizio verso tutti, perché è relativamente semplice celebrare il rito della video lezione, altro discorso è quello relativo alla fruizione di tale lezione nelle sue condizioni contestuali nelle quali viene recepita.

A livello epistemologico non si può non rilevare lo slittamento dell’educativo da ambito umano a paradigma comunicativo: freddo, indifferente e ratificante il dato; con le parole di Eliot a ricordaci tutto quel che si perde nel passaggio dalla conoscenza all’informazione. Questa, infatti, può esser arricchita solo da chi ne ha la possibilità. E non tutte le famiglie hanno questa possibilità. Benjamin scrisse che “il fascismo vede la propria salvezza nel consentire alle masse di esprimersi (non di veder riconosciuti i propri diritti)[1]; ora questo avviene attraverso il livello individuale e la DaD “permette di mobilitare tutti i mezzi tecnici attuali, previa conservazione dei rapporti di proprietà[2].

Concludo con alcune riflessioni propositive: su dieci anni di scolarizzazione, perdere 2-3 mesi non lascia strascichi che non siano recuperabili. Se la scuola non è possibile attivarla, bisogna prenderne atto ed agire considerando la mediazione dell’ideale, come discrimine tra ciò che che va fatto e ciò che non va fatto. Continuare imperterriti con attività ad altro tasso di oggettivazione è delirante. Piuttosto sono infinite le possibilità altre per procedere sulla via del compimento di sé negli allievi, proprio al di fuori dei limiti della scuola fin qui attivata. La lettura, la scrittura libera, l’ascolto di buona musica; tutte attività che accrescono la capacità di osservazione, di riflessione, di immaginazione e sensibilità. E tutto questo al di fuori di quello che Simmel chiama lo spirito del denaro, ovvero la quantificazione del valore e la misurabilità di tutto in vista dello scambio e della proprietà.

Una scuola che propone senza chiedere un ritorno in termini valutazione, può essere una possibilità di risveglio per un altro ordine del discorso. In fondo, le esperienze più significative, sono con quello che Agamben chiama l’inappropriabile.

Bibliografia.

Agamben G., Arte e anarchia, Neri Pozza, Vicenza, 2017.

Baudrillard J., Il delitto perfetto, Cortina Raffaello, Milano, 1996.

Benjamin W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1966

Eliot T. S., Cori da La rocca, Rizzoli, Milano, 1994.

Foucault M., L’ordine del discorso, Einaudi, Torino, 1972.

Levi P., I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 1986.

Simmel G., Le metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma, 1995.

L’educazione in quanto vita, Il Segnalibro, Torino, 1995.

Denaro e vita, Mimesis, Milano, 2010.

 

[1] W. Benjamin: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1966, p.46

[2]Ivi, p. 47.

 

Requiem per gli studenti

di Giorgio Agamben
(Diario della crisi, 23.5.2020)

[Le parole di Giorgio Agamben confermano una delle ragioni che hanno dato vita a corpi e politica: la difesa della civiltà del sapere di fronte al montare della barbarie. Il sapere umano è infatti inseparabile dai corpi, dallo spazio e dal tempo condivisi. Faremo in ogni caso di tutto affinché il Requiem che qui si prevede e si paventa non debba essere pronunciato, affinché il canto della conoscenza continui a risuonare nelle aule]

Come avevamo previsto, le lezioni universitarie si terranno dall’anno prossimo on line. Quello che per un osservatore attento era evidente, e cioè che la cosiddetta pandemia sarebbe stata usata  come pretesto per la diffusione sempre più pervasiva delle tecnologie digitali, si è puntualmente realizzato.

Non c’interessa qui la conseguente trasformazione della didattica, in cui l’elemento della presenza fisica, in ogni tempo così importante nel rapporto fra studenti e docenti, scompare definitivamente, come scompaiono le discussioni collettive nei seminari, che erano la parte più viva dell’insegnamento. Fa parte della barbarie tecnologica che stiamo vivendo la cancellazione  dalla vita di ogni esperienza dei sensi e la perdita dello sguardo, durevolmente  imprigionato  in uno schermo spettrale.

Ben più decisivo in quanto sta avvenendo è  qualcosa di cui significativamente non si parla affatto, e, cioè, la fine dello studentato come forma di vita. Le università sono nate in Europa dalle associazioni di studenti – universitates –  e a queste devono il loro nome. Quella dello studente era, cioè, innanzitutto una forma di vita, in cui determinante era certamente lo studio e l’ascolto delle lezioni, ma non meno importante erano l’incontro e l’assiduo scambio con gli altri scholarii, che provenivano spesso dai luoghi più remoti e si riunivano secondo il luogo di origine in nationes. Questa forma di vita si è evoluta in vario modo nel corso dei secoli, ma costante, dai clerici vagantes del medio evo ai movimenti studenteschi del novecento, era la dimensione sociale del fenomeno. Chiunque ha insegnato in un’aula universitaria sa  bene come per così dire sotto i suoi occhi si legavano amicizie e si costituivano, secondo gli interessi culturali e politici, piccoli gruppi di studio e di ricerca,  che continuavano a incontrarsi anche dopo la fine della lezione.

Tutto questo, che era durato per quasi dieci secoli, ora finisce per sempre. Gli studenti non vivranno più nella città dove ha sede l’università, ma ciascuno ascolterà le lezioni chiuso nella sua stanza, separato a volte da centinaia di chilometri da quelli che erano un tempo i suoi compagni. Le piccole città, sedi di università un tempo prestigiose, vedranno scomparire dalle loro strade quelle comunità di studenti che ne costituivano  spesso la parte più viva.

Di  ogni fenomeno sociale che muore si può  affermare che in un certo senso meritava la sua fine ed è certo che le nostre università erano giunte a tal punto di corruzione e di ignoranza specialistica che non è possibile rimpiangerle e che la forma di vita degli studenti si era conseguentemente altrettanto immiserita. Due punti devono però restare fermi:

  1. i professori che accettano – come stanno facendo in massa – di sottoporsi alla nuova dittatura telematica e di tenere i loro corsi solamente on line sono il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista. Come avvenne  allora, è probabile che solo quindici su mille si rifiuteranno, ma certamente i loro nomi saranno ricordati accanto a quelli dei quindici docenti che non giurarono.
  2. Gli studenti che amano veramente lo studio dovranno rifiutare di iscriversi alle università così trasformate e, come all’origine, costituirsi in nuove universitates, all’interno delle quali soltanto, di fronte alla barbarie tecnologica, potrà restare viva la parola del passato e nascere – se nascerà – qualcosa come una nuova cultura.

L’Università non può essere altro che un luogo fisico

di Emanuele Conte
(Roars – 21.5.2020)

[Il solo fatto che l’ipotesi che qui viene analizzata e giustamente rifiutata -chiudere le Università sino al gennaio 2021- sia invece ritenuta plausibile da alcuni Rettori, fa dell’epidemia Covid19 una sorta di cuore di tenebra intorno al quale vanno cristallizzandosi le spinte più barbariche e criminali -oltre che irrazionali- della società italiana e dei suoi ceti dirigenti]

Circola con insistenza la convinzione che anche per il primo semestre del prossimo anno accademico le Università italiane proseguiranno l’insegnamento a distanza, per evitare che il ritorno degli studenti nelle università incrementi la diffusione del contagio.

Se questa convinzione si traducesse in disposizione, emanata a livello centrale o locale, sarebbe un segnale davvero pessimo. Perché dimostrerebbe da una parte che non abbiamo ben chiaro quale sia lo scopo dell’educazione intellettuale superiore; e dall’altra che l’amministrazione pubblica che dispone delle più ampie, profonde e diversificate competenze scientifiche e professionali non si considera in grado di elaborare un piano di rientro sicuro ed efficiente.

Privare gli studenti della loro vita universitaria per un altro semestre sarebbe come arrendersi senza combattere: cosa che si fa perché l’obiettivo da raggiungere non vale lo sforzo, oppure perché si pensa di non aver le forze per raggiungerlo. Invece, se ci pensiamo, l’obiettivo merita il più grande degli sforzi, e l’università italiana avrebbe tutti i requisiti per vincere la battaglia.

L’idea che la presenza fisica degli studenti nelle Università sia tranquillamente sostituibile con i corsi telematici è sbagliata. Perché – paradossalmente – è un’idea molto arretrata. Riflette una visione della didattica universitaria tipica della seconda metà del secolo scorso, quando il modello di apprendimento si è trasformato in un «trasferimento di conoscenze», che avveniva per mezzo di lezioni cattedratiche, senza dialogo (per questo definite burocraticamente «frontali») e soprattutto con lo studio solitario del manuale, unica fonte di tutto il sapere di ciascuna materia. Per molti anni i corsi sono stati sostituiti dagli esami e la verifica delle conoscenze ha rimpiazzato la stimolazione delle intelligenze. Il sistema si adattava a una popolazione studentesca che viveva soprattutto in famiglia: trasferirsi a vivere insieme ad altri studenti vicino all’Università era troppo costoso, e anche non molto utile, visto che alla fine quel che contava era superare gli esami, avendo imparato il contenuto di uno o più grossi libri. La didattica telematica non è che una modernizzazione di questo modello vecchio.

E invece l’Università, dalle origini medievali alle reinterpretazioni più diverse del mondo occidentale, non può essere altro che un luogo fisico organizzato per offrire agli studenti una esperienza intellettuale fortemente formativa. Questo è, se possibile, ancora più evidente oggi, quando la rivoluzione dei processi di comunicazione determinata da Internet ha reso inconsistente la funzione di «trasferimento di conoscenze» evocata dal modello novecentesco. Le nozioni sono ormai reperibili in pochi secondi in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento: quello che conta è saper porsi le domande giuste e organizzare adeguatamente le risposte, e per questo è necessario educare al senso critico e a selezionare le informazioni necessarie per risolvere i problemi. E queste sono abilità che si ottengono con l’esperienza della vita universitaria: si possono insegnare e apprendere, ma non trasferire.

Ecco perché possiamo accettare la didattica on line per un breve periodo di emergenza, ma dobbiamo restare consapevoli che l’insegnamento è un’altra cosa, e soprattutto che una vera esperienza educativa non può fare a meno di una dimensione di vita comunitaria non riducibile a incontri virtuali.

Perciò l’entusiasmo di tanti rettori per il successo della didattica on line appare del tutto fuori luogo.  La rete offre una quantità di opportunità, che vanno tutte sfruttate, ma non ci consente affatto di imparare stando a casa. Anzi, impone più vita universitaria comune, perché richiede una educazione che favorisca più senso critico e più creatività. Nell’era di internet le Università dovrebbero costruire più residenze per studenti, favorire le coabitazioni e aprire anche la sera e durante le vacanze, perché la critica e il confronto sono tanto più necessari in quanto siamo inondati di informazioni incontrollate.

Dunque: ripiegare sulla didattica a distanza per altri sei mesi è una sconfitta che implica la rinuncia all’elemento centrale dell’educazione superiore. Questo deve essere chiaro: non stiamo parlando di un dettaglio secondario. Quando si dice che «conviene» proseguire l’insegnamento telematico fino a gennaio 2021, si dice che l’educazione superiore italiana conta meno delle vacanze in spiaggia, dell’aperitivo al bar, del giro al centro commerciale.

Si dice anche un’altra cosa molto grave: che le Università non sono in grado di elaborare strategie per consentire una vera esperienza educativa, contenendo i rischi di contagio: o almeno che sono meno capaci di farlo rispetto ai ristoratori o ai gestori turistici. Cosa molto paradossale, considerato che tutti gli esperti di cui la politica e l’informazione si sono fidate in questi mesi sono docenti universitari. Una Università, ciascuna Università italiana, dispone di biologi e medici specializzati in virologia, di epidemiologi e di igienisti che conoscono meglio di chiunque altro i comportamenti dei virus e degli infettati, e le metodologie per minimizzare i contagi. Ha anche matematici, statistici e ingegneri che studiano le teorie delle code, le distribuzioni delle presenze umane nei luoghi, e anche progettano strumenti informatici per evitare assembramenti. Non le mancano architetti in grado di progettare spazi idonei a minimizzare i rischi dei contatti, pedagogisti e psicologi che lavorano sulle motivazioni all’apprendimento. I giuristi possono poi studiare le procedure che salvaguardino dal rischio di azioni di risarcimento chi si assume la responsabilità di autorizzare le attività, avendo attivato tutti le precauzioni possibili.

Se proprio le Università dichiarano che lasciare gli studenti a casa è più sicuro, allora vuol dire che tutti gli altri settori, che non dispongono nemmeno lontanamente delle competenze delle università, non dovrebbero affatto riaprire.

Evidentemente, il problema è che non si parla abbastanza né del valore essenziale della vita universitaria, né delle straordinarie potenzialità di competenza di cui dispongono le Università. Perché? Beh, un’ipotesi ce l’avrei. Sarà perché, nonostante tutti i gli organi collegiali, in realtà chi decide nelle Università non ascolta né i professori né gli studenti?

“Mi ricordo quando suonava la campanella. Invece nella scuola al computer non suona mai la campanella, non suona mai niente”

Differenze tra scuola on line e scuola vera

di Giuseppe Caliceti
(da il manifesto, 14.5.2020)

«Mi ricordo quando suonava la campanella. Invece nella scuola al computer non suona mai la campanella, non suona mai niente»

[Per i bambini piccoli, appena approdati alle scuole elementari, per la loro percezione del tempo, il periodo di reclusione casalinga e di scuola negata dura già da un’eternità, quanto un’ epoca. Non sappiamo ancora come le conseguenze di questa esperienza traumatica segneranno i comportamenti di una generazione, in termini di capacità relazionale, spirito di iniziativa, fiducia nell’addentrarsi nel mondo. Ma l’articolo che riportiamo, frutto intelligente del dialogo a coatta distanza tra un maestro e la sua giovanissima classe, autorizza la speranza che i bambini, se incoraggiati da adulti in grado di pungolarli con consigli stimolanti, siano in grado di metabolizzare il virus ansiogeno sparso a piene mani dai dispositivi scolastici e governamentali.  Come tanti piccoli guerriglieri di una saga scritta in diretta, possono raggiungere, proprio attraverso la prova che stanno attraversando così precocemente, le soglie di una nuova consapevolezza critica, scampando al destino seriale di conformismo al quale li avviava comunque anche l’ ‘offerta formativa’ pre-crisi.]

 

I bambini ci parlano.

«Io mi ricordo che facevamo sempre la ricreazione e se era bello il tempo, se non pioveva, anche se era freddo, noi andavamo sempre a giocare in cortile e io mi divertivo»

Ciao bambine, ciao bambini, ci vediamo ancora una volta al computer. Adesso con voi del primo gruppo, più tardi con gli altri gruppi. Oggi vi chiedo di dire quelle che, per voi, sono le differenze tra la scuola vera e la scuola di adesso, la scuola al computer.

«Per me la scuola al computer non è una scuola vera perché…. Perché non si va a scuola».
«Al computer non puoi giocare».
«A me la scuola al computer non piace perché non vedi bene tutti i tuoi amici. Non senti bene tutte le loro voci. Poi devi stare sempre seduto. Devi sempre… No, non mi piace. Io non vedo l’ora che la malattia finisca e dopo torniamo alla scuola normale».
«Una differenza è che alla scuola dentro al computer sei sempre seduto davanti al computer, non vedi mai… Non c’è la ricreazione. Non si va fuori in cortile a giocare. Non puoi fare niente».
«È troppo tempo che siamo in casa. Io mi sono stancata. Io vorrei andare a scuola e giocare con i miei amici. La scuola al computer mi piace perché è meglio di niente. Ma non mi piace».
«Io vedo dal telefonino di mia mamma. Anche adesso. Si vede piccolo. Io preferivo la scuola normale».
«Io non pensavo mai che questo anno di scuola, il primo anno di scuola che io ho fatto alla scuola elementare dopo l’asilo, andava a finire così. Mi dispiace».
«Mia mamma ha detto che quest’anno siamo tutti promossi. A me fa piacere. Ma io non credo che ci bocciavano ugualmente».
«A me piace più la scuola normale di questa perché almeno siamo tutti insieme in aula».
«Noi non possiamo andare a scuola e possiamo solo fare questa scuola con il computer che però non è la scuola vera».
«Mi piace perché io adesso alla mattina posso alzarmi più tardi e anche alla notte posso andare a letto più tardi. Ma solo per questo. Però io ce la farò. Anche mia mamma ha detto così».
«A me piace la scuola al computer perché è una scuola nuova. Perché noi non avevamo mai fatto. Poi è anche moderna. All’inizio mi piaceva molto. Adesso mi sono stancata. Perché è sempre uguale».
«Per me… A me non piace la scuola al computer».

Bambini, visto che in tanti mi stanno dicendo che preferite la scuola vera invece che la scuola al computer, la scuola a distanza, mi dite un ricordo che avete della nostra scuola normale? Della nostra classe quando eravamo nella nostra aula?

«Io mi ricordo che facevamo sempre la ricreazione e se era bello il tempo, se non pioveva, anche se era freddo, noi andavamo sempre a giocare in cortile e io mi divertivo».
«Anche a me manca molto la ricreazione. Mi manca quando giocavamo insieme. Mi manca quando facevamo i balletti scatenati e anche quelli romantici e anche gli altri. Mi mancano i massaggi. Mi manca… Insomma, mi manca tutto».
«Io mi ricordo che c’era il laghetto e per me c’è ancora. Mi ricordo i pesci rossi. Mi ricordo i pesci grandi e anche quelli piccoli».
«Per me i pesci si stanno chiedendo anche loro perché adesso c’è sempre silenzio vicino al laghetto, vicino allo stagno. Forse pensano che noi siamo morti tutti. Oppure che siamo andati via e li abbiamo lasciati soli».
«A me viene in mente quando abbiamo fatto le canzoni di Natale».
«Mi ricordo quando eravamo a mensa e stavamo tutti in quel posto lì, in palestra, col tavolo lunghissimo e noi tutti seduti».
«Mi ricordo quando suonava la campanella. Invece nella scuola al computer non suona mai la campanella, non suona mai niente».
«Io mi ricordo che la scuola normale era più emozionante di questa scuola qui».
«Io penso che noi siamo sfortunati perché prima non abbiamo iniziato la prima nella nostra scuola perché la scuola la dovevano aggiustare per il terremoto, se c’era un terremoto, perché non era a posto, e allora noi siamo dovuti venire qui in questa scuola. Poi siamo venuti qui e anche qui la scuola è stata chiusa. Io spero che finisca tutto presto. Il Coronavirus e anche la scuola da aggiustare. Io spero che il prossimo anno va tutto bene. Non c’è il coronavirus e neppure il terremoto. Io spero che la nostra scuola è pronta e così dopo vado a scuola e ci andiamo tutti. Perché poi è più di un anno che noi andiamo a scuola ma non ci andiamo mai, dico, nella nostra scuola. E io non so neanche come è la nostra vera scuola. La scuola di Calerno, dico».

Ripartire dalla forza della cultura. In tutta Europa

La didattica a distanza è una cosa mostruosa. Il teatro è insostituibile perché è un unicum

[Con la chiarezza e la libertà che i Greci chiamavano parrhesìa, Luciano Canfora mostra che cosa si sarebbe dovuto capire, che cosa non si è fatto, che cosa è ancora possibile realizzare per salvaguardare l’istruzione e il teatro, vale a dire i luoghi in cui è nata e deve essere coltivata la civiltà europea]

Intervista a Luciano Canfora, di Caterina D’Ambrosio
(da treccani.it, 13.5.2020)

In questo periodo di pandemia, in cui ognuno di noi ha anche rinunciato ad alcune libertà individuali, assistiamo al manifestarsi di una fragilità della cultura.
Non mi stupisce per nulla, anche durante l’ultima guerra mondiale è successa la stessa cosa, per cause diverse ma non meno gravi e impedienti. Mi sorprende che quasi quotidianamente si faccia il catalogo delle cose che non possono funzionare come prima. È talmente ovvio che mi sorprende la sorpresa. Quasi tautologica. Si inventano le cose da lontano, da lontano forse prenderemo anche il caffè.

Si parla anche spesso di una fragilità della scienza. Cosa non ha funzionato?
[Canfora] Se per scienza intendiamo la medicina dobbiamo ricordare che, purtroppo, non parliamo di una scienza esatta. È una disciplina empirica nella quale si cerca di introdurre elementi di oggettività. Una volta c’erano i medici di famiglia che avevano una potenza diagnostica derivante dall’infinita esperienza. Tutto questo non c’è più, sostituito dal continuo ricorso alle diagnosi strumentali. La scienza è un’altra cosa. La medicina arranca, ed è anche umano che sia così. Un medico deve guardare l’interno non potendo che guardare l’esterno, quello che Kant ‒ in filosofia ‒ definiva come la “cosa in sé”: si vedono solo i fenomeni poiché la cosa in sé non si vede mai. Si tenta di vedere l’invisibile che è racchiuso dentro il corpo umano: un lavoro straordinariamente difficile, essenzialmente diagnostico. Dopo di che non parlerei di fallimento ma di una sfida inedita davanti alla quale si è trovata una disciplina che non ha mai potuto conseguire l’oggettività.

La fruizione della cultura avviene con modalità diverse, piattaforme, lezioni a distanza, solo per fare qualche esempio. Un limite o uno strumento in più?
Si fa tantissima retorica su questo; anche i cosiddetti pensatori che si alternano in TV teorizzano che dal male viene il bene, magnificano il valore della didattica a distanza. È chiaro ‒ diciamocelo ‒ che sono tutte sciocchezze. La didattica a distanza è una cosa mostruosa che non serve a nulla se non a riempire il tempo. Discorso diverso per i musei: una fruizione di immagini, repertori, materiale illustrativo a distanza si può realizzare. Per teatro e cinema è impossibile. La cosa buffa è che si tratta palesemente di un disagio del quale liberarsi quanto prima, mentre c’è chi invece teorizza che si sia aperta una prateria di cose meravigliose. Credo che ‒ se non altro per ragioni anagrafiche ‒ non godrò di questa “gioia”.

La cultura è un bene comune che appartiene a tutti, non solo all’Italia. Per questo il direttore della Treccani, Massimo Bray, ha proposto la costituzione di un Fondo Europeo che sostenga e rilanci la cultura.
Un’idea ottima, non solo per questa fase ma soprattutto come rilancio del patrimonio culturale, che troverà, però, probabilmente l’opposizione di Mark Rutte (primo ministro olandese, ndr). Ce ne faremo una ragione e vedremo chi vince. Bray fa bene a battersi per questo, è la cosa giusta. E, ovviamente, tifo per lui.

Il portale Treccani.it sta registrando in queste settimane un numero altissimo di visite. Perché secondo lei?
Sono numeri che confortano e, aggiungo, per fortuna le persone si rivolgono alla Treccani! È una fonte autorevole. Se le persone si limitassero solo all’informazione che viene da TV e giornali sicuramente ne ricaverebbero informazioni inesatte, imprecise, parziali. D’altra parte, sappiamo che si può accedere a tutte le opere dell’Enciclopedia, anche le più remote nel tempo, grazie alla mediazione informatica. È un baluardo dell’informazione scientifica del nostro Paese. Louise-Noëlle Malclès, forse la più grande bibliografa francese, diceva sempre che ‒ prima di qualsiasi altra fonte ‒ si documentava sull’Enciclopedia Italiana.

Sono tante le figure del mondo della cultura in difficoltà a causa della pandemia. Quali provvedimenti secondo lei possono essere d’aiuto?
Sono realtà molto diverse: ci sono gli attori, i cantanti lirici, il cinema, il teatro. C’è, tuttavia, tutto un settore, cioè scuola, biblioteche, università, per il quale il rimedio c’è. Perché i nostri ragazzi non possono tornare a scuola hic et nunc? Perché i nostri istituti pagano i danni delle riforme degli ultimi anni, soprattutto della riforma Gelmini, che ha allargato il numero di studenti per classe rendendo difficile l’insegnamento. Bisogna abbandonare la formula delle classi pollaio e arrivare a classi più piccole e a una didattica migliore. Bisognerebbe quindi invertire una tendenza nel bilancio dello Stato, investire nell’edilizia scolastica, non solo nell’assunzione di nuovi docenti. Queste sono realtà in cui si può portare rimedio, volendolo. Purtroppo abbiamo il vezzo orribile, in questo Paese, di considerare il comparto scuola-biblioteche-università come una Cenerentola. Compriamo F15 che non useremo mai e ci disinteressiamo, invece, dell’istruzione, che è un problema capitale.

Ma non c’è solo l’istruzione…
Per il cinema e il teatro, ma direi soprattutto per quest’ultimo, il problema è enorme. Il teatro è insostituibile perché è un unicum. Il regista, gli attori, il pubblico sono un’unica comunità. Un grande autore come Bertolt Brecht, il teorizzatore del teatro epico dove il pubblico è coinvolto nella rappresentazione, avrebbe vita dura in questa situazione. Più che una bacchetta magica ci vorrebbe buon senso, ma soprattutto senso dello Stato.