Ringraziare, precisare, immaginare. riAprire i teatri (2)

di Gabriele Vacis (07.05.2020)

Prima di tutto ringraziare.
Grazie alle tantissime persone che continuano a condividere, commentare e criticare il documento “riAprire i teatri”.
Grazie a due maestri che ci hanno incoraggiato con parole bellissime: Eugenio Barba e Giuliano Scabia. Ringrazio loro insieme a tutti quelli che ci hanno mandato e continuano a scriverci buoni consigli.

Secondo: precisare.
L’idea potrà partire quando sarà sano aprire i luoghi pubblici. Non è una sollecitazione ad affrettarne la riapertura. Semmai è un’idea per rendere possibile l’anticipo della riapertura, per aprire in modo nuovo: se aspettiamo che si possa tornare a riempire i teatri rischiamo di tenerli chiusi mesi e mesi. Partiamo con il teatro oltre lo spettacolo, il teatro di cura.

L’idea riguarda il teatro pubblico. A Torino c’è un teatro privato gestito da una gran donna che si chiama Claudia Spoto. Immagino che questa chiusura le procuri grandi difficoltà: queste aziende private vanno aiutate come si aiutano le altre aziende. Anche di più, perché un teatro come il Colosseo non guarda solo al profitto, ma anche alla cultura. Anche il teatro privato genera consapevolezza sociale. Ma io parlo del teatro pubblico, quello pagato con i soldi dei contribuenti, è lì che si possono sperimentare nuovi modelli di convivenza.

Terzo: immaginare.
Come si finanzia tutto questo? Con gli stessi soldi di prima. Ma distribuiti in modo diverso. Garantendo certo la stabilità degli apparati organizzativi ed amministrativi. Ma estendendola anche agli artisti. Una sorta di reddito garantito per attori, tecnici, scrittori… Prima lavoravamo sempre di più per guadagnare sempre meno. Le tecnologie liberano tempo. Il lavoro di tante persone lo faranno le macchine. Ma la ricchezza continuerà ad essere prodotta. Bisognerà trovare il modo di redistribuirla. E la redistribuzione della ricchezza passa dal riorganizzare il tempo delle persone, dall’inventare occupazioni motivanti, coinvolgenti, gratificanti. I nuovi lavori dovranno gestire l’otium latino, che non è il padre dei vizi, ma ricerca di consapevolezza di sé, degli altri, del tempo, dello spazio. I grandi teatri storici sono spazi ideali dell’otium.

L’arte, la bellezza, il teatro sono rimasti per troppo tempo prigionieri della forma. Liberiamoli nell’inclusione, nell’interazione tra le persone! Mettere in scena tutto quello che c’è dietro e oltre lo spettacolo significa ridefinire il rapporto tra lo spettacolo e il teatro, tra la forma e la relazione tra le persone. Il teatro nasce come pratica di guarigione: il teatro di Epidauro era un reparto dell’ospedale più grande dell’antichità. Il teatro ha, dalle origini, a che fare con la cura della persona. Siamo costretti, temporaneamente, a sospendere lo spettacolo? Approfittiamone per dare spazio al teatro. Cogliamo l’occasione per rendere accessibile il teatro a chi non ci ha mai messo piede. E’ tanta gente! Facciamo scuola nei teatri, naturalmente per fargli vedere Goldoni e Shakespeare, per fargli capire come funzionano Goldoni e Shakespeare. Facciamo vedere a come un grande regista e una grande attrice costruiscono un personaggio o interpretano un testo, uno di fronte all’altro come Marina Abramovic in “The artist is present”. Ma facciamoglielo vedere nel momento in cui nasce. Il teatro è forma nascente. La forma cristallizzata lasciamola a Netflix, che sa cristallizzarla molto meglio.

Ma sia chiaro che non è la soluzione definitiva. Quando si potrà tornare a riempire i teatri si rimetteranno in scena i grandi spettacoli di tradizione che sono un patrimonio inestimabile. Nel frattempo avremo accumulato l’esperienza del teatro oltre lo spettacolo, che ci avrà insegnato ad usare in modo nuovo e meraviglioso i teatri. E, state certi: spettacoli di tradizione e teatro di cura della persona convivranno in armonia, nutrendosi a vicenda: una forma concreta di sviluppo degli spettatori e di innovazione delle istituzioni.

Il teatro nasce dal rito, dal gioco, dalla narrazione. Riportiamo rito, gioco e narrazione a teatro.

Citazione che ha inviato un’amica: il teatro è una scuola di pianto e di riso, è una tribuna libera da cui gli uomini possono denunciare morali vecchie e equivoche e spiegare le leggi del cuore e del sentimento umano, dice Federico Garcia Lorca, il giorno che non avremo né scene né costumi metteremo in scena il teatro classico con le nostre tute da lavoro.

La città che viene

di Virgilio Sieni
(dal 1.1.2020, una serie di appelli al fine di riflettere insieme sulle urgenze e le necessità di questo momento, www.virgiliosieni.it)

Lettera appello Sulla distanza dell’altro

Scrive un bambino di 10 anni: “il contatto è un punto di riferimento che si sviluppa con il tempo quando una persona prende fiducia in te”.

Quando oggi parliamo di distacco, cosa intendiamo esattamente? La lontananza o l’abbandono forzato delle abitudini? Il non poter fare le stesse cose? Si potrebbe dire che l’essere umano è il portare a compimento l’agire della natura.

Nel rispetto dei morti e del dolore degli altri, adesso il nostro compito è cercare di esistere, non sussistere, ma essere assieme. Non possiamo dunque pensare che la cosiddetta ripartenza abbia come orizzonte le stesse mosse che ci hanno condotto in questo abisso tragico per l’uomo. Dobbiamo limitare sempre di più i comportamenti che accentrano e accumulano, che inquinano e infestano.

Già stiamo subendo mutamenti profondi che possono comunque essere considerati positivi: i gesti nuovi, quelli prossimi alla commozione e al cercare l’altro, aprono a forme di tattilità nella prossimità dell’altro, alla compassione più che al distacco forzato. Mi sembra che questi comportamenti hanno instaurato un dialogo con i gesti del passato e credo che stiamo già lavorando all’uomo futuro in maniera responsabile.

Sono gesti veri perché non guidati dall’istinto e neanche dalla razionalità.  Sono gesti veri perché emergono come soluzioni distillate dai gesti passati, perché provengono dalla nostra archeologia, la sola in grado di mantenere un legame con ciò che saremo. In questi gesti si racchiude tutta la necessità dell’uomo di perseguire la ritualità conoscitiva che il teatro propone per equilibrare e meditare sulla verità, sulla democrazia. Privati di questi gesti l’uomo impazzisce malamente.

Camminare con attenzione, sensibilizzarsi alla densità del vuoto, abbandonare progressivamente l’automobile e non rifugiarsi in essa, scoprire il territorio intorno, praticare la sospensione e l’attesa, resistere consapevolmente ai mutamenti di separazione, sono tutte declinazioni dei comportamenti del presente.

Dobbiamo renderci conto che è molto pericoloso privare l’essere umano della sconsideratezza del gesto e della ritualità delle azioni che costellano la vita in ogni suo frangente, dalla nascita alla morte, dal gesto del saluto all’odore dell’altro, dal compianto all’abbraccio.

È importante sapere e riconoscere cosa ci ha condotto a questa tragica situazione per non ripetere gli stessi meccanismi. Certamente il mondo della globalizzazione ha contribuito in maniera determinante alla distruzione delle biodiversità, alla dispersione del concetto di vicinato, cosi come alla messa in crisi della frammentazione delle micro-realtà per restituirci l’agire sclerotizzato dei macro sistemi dell’accentramento.

Le nostre città e i borghi rurali sono stati in gran parte privati delle funzioni antropologicamente necessarie per la creazione di comunità solidali; basti vedere come la costruzione di orribili architetture del commercio corrisponda alla chiusura del dettaglio, lasciando sparire il piacere della scoperta delle tracce di una comunità che abita e costruisce la propria città.

L’agire dell’uomo, cioè il portare a compimento le azioni, ora dovrà ampliarsi e rinnovarsi a partire dalla fiducia nell’altro, intesa come capacità molecolare di prossimità e attesa perché come ci indica il bambino di 10 anni, la fiducia richiede il tempo dell’esperienza e non la corsa al consenso.

Dobbiamo pensare alla scoperta dell’infinito nella cura del territorio, con obiettivi rivolti al sostegno e allo sviluppo d’interazioni organiche tra luoghi e abitanti, esaltando la convivenza e concentrandosi sulle relazioni generative che definiscono le funzioni e le azioni del costruire e dell’abitare. Dobbiamo pensare a costruire geografie di vicinato tessendo camminamenti dall’incontro di traiettorie costruite seguendo i dettagli della natura e dei comportamenti.

La lezione che stiamo ricevendo ci induce necessariamente verso una virata straordinaria dove la prima regola sarà la scoperta di misure nuove. Questo tempo dovrà sviluppare l’attenzione alla città nell’espressione dei suoi dettagli e il costruire nella ricchezza del paesaggio, nell’ascolto e nel rispetto delle tracce, dei gesti, della memoria, delle opere dell’uomo e nel considerarci ospiti della natura.

Il nostro compito, oggi, sarà quello di elaborare esercizi di liberazione, proponendo progetti che hanno assimilato la lezione di un corpo che procede solo perché in dialogo con il mutare continuo delle cose.

Prenderemo in considerazione che, così come un corpo necessita di un organismo complesso fatto da un’infinità di grandezze, anche le tracce del paesaggio che intravediamo, dovranno necessariamente arricchirsi di ascolti e attese, ricercando un equilibrio ambientale che richiede una profonda diversificazione.

Come sappiamo bene, la cultura è un mezzo per salvare la specie: solo nella relazione con l’altro si può rintracciare il motivo per cui non ci siamo ancora estinti.

In questo senso intendiamo la danza, il teatro, la musica e tutte le arti dal vivo: il compiersi di azioni assieme, riconducendo la condotta dell’agire alle forme della comunità. In questo senso siamo compresi nel vicinato amorevole dello spazio che ci salverà.

Per ripartire subito
Con passi diversi

1.
Geografia culturale di vicinato.
Dobbiamo sviluppare la costruzione di una geografia culturale di vicinato secondo una diffusione di esperienze per la cura e la rigenerazione dei territori individuando nella tessitura del territorio il tema cruciale che guarda alla rigenerazione della città e la creazione di comunità. Lo sviluppo nei territori di pratiche di trasmissione e formazione, l’elaborazione di percorsi creativi, la costruzione di spazi condivisi, l’emergere di comunità di cittadini partecipatori sono gli strumenti attraverso i quali dar vita a contesti artistici capaci di approfondire la ricerca poetica in relazione al senso dell’abitare i territori e i luoghi e come questi possano diventare gli alleati per una città ospitale, creativa, inclusiva.

È il momento di rigenerare e costruire spazi per il futuro. Dare il segno di una cultura che inizia dalla cura del territorio e si avvicina, s’incarna con gli abitanti generando spazi aperti e esperienze di partecipazione, educazione e visione rivolte a tutti.

2.
Partendo da una geografia diffusa nei territori della città, è necessario sviluppare un reticolo di spazi all’aperto e al chiuso sull’idea di geografia poetica sociale fondata sull’ascolto del paesaggio.

Dobbiamo aiutare i teatri e questa nuova visione servirà come laboratorio permanente sul senso di distanza, ascolto e prossimità rivolto a mantenere quelle che sono le funzioni primarie dell’essere umano che si confronta e si accresce con la comunità, la cura dell’abitare, l’articolazione del lavoro, coltivando il desiderio e la curiosità.

3.
Si dovrà parlare di diffusione, un agire ontologico che guarda alla riorganizzazione del lavoro culturale inteso come un corpo organico formato da tanti centri propulsori, ognuno in risonanza con l’altro: costruire il territorio adesso significa esaltare le diversità e farle dialogare tra loro. Sarà quindi importante favorire un dialogo innovativo tra spazi al chiuso e all’aperto e stimolare le persone al continuo esercizio della sensibilità.

4.
Lo sviluppo di una poderosa articolazione di luoghi potrebbe essere la chiave per una nuova elaborazione del concetto di distanziamento. Dobbiamo avere la forza di tralasciare le forme di un’apparente soluzione: concentriamoci sulle forme di vicinanza tra il pubblico ma allo stesso tempo assimiliamo anche un nuovo modo rivolto alla cura del territorio basandoci su un’economia che possa esaltare le pratiche teatrali in relazione alla cura della città.

5.
I contesti di trasmissione, le esperienze di educazione e i processi della visione e della performance contribuiranno in maniera decisiva alla geografia culturale di vicinato indicando e favorendo le soluzioni di adattamento dei teatri. Se da una parte sarà necessario ripensare i formati e i luoghi che i teatri dovranno predisporre dall’altra si lavorerà a creare un nuovo modo di diffusione e percezione del teatro stesso.

6.
Aperto.
Per la rigenerazione dei territori è necessario creare una rete di raccordi e passaggi spaziali nelle zone pubbliche, far si che la creatività si sviluppi nei luoghi dell’aperto e nel dialogo con le strutture esistenti e da rigenerare. I primi passi sono rappresentati dalla sperimentazione dell’aperto e della geografia poetica di vicinato nei quartieri, attuando parallelamente attività mirate da svolgersi nei teatri. L’articolazione di spazi all’aperto, pubblici, curati nei dettagli, saranno le nuove sedi per sperimentare i processi di creazione e di trasmissione.

7.
Il teatro avrà la funzione di diramarsi in azioni accuratamente studiate affinché le tecniche dell’espressione e della conoscenza dell’individuo diventino lo strumento che unisce organicamente il cittadino alla natura, l’essere umano assieme al paesaggio.

8.
Il teatro avrà il compito di costruire nuove geografie, individuando spazi altri, all’aperto e al chiuso, in collaborazione con le realtà pubbliche e private presenti nel territorio con la funzione di creare “officine culturali permanenti” in collegamento con scuole, Università, associazioni.

9.
La cura degli spazi all’aperto e il dialogo con gli spazi al chiuso saranno i temi su cui coltivare fin da subito forme d’incontro, comunità di luogo, riattivando il dialogo tra cittadini e artisti attraverso cicli di residenze, percorsi di formazione e progetti di creazione.

10.
I prossimi programmi dovranno essere proiettati verso una frequentazione continuativa nel tempo e nello spazio affinché si possa mantenere vivo il legame con l’aperto, elaborando il senso di separazione non attraverso la paura e il disagio ma con il desiderio di confrontarsi attraverso nuove forme che possano, fin da ora, rigenerare la percezione dei luoghi.

11.
I nuovi luoghi sono anche quelli già esistenti nella geografia emozionale delle nostre città, che nel loro carattere simbolico compongono una tessitura complessa e diversificata che restituisce il senso dell’arte. Sono quei luoghi da ristrutturare e da sostenere perché a limite tra l’esistenza e l’inutilità, quegli spazi liminali che generano le connessioni tra il chiuso e l’aperto; sono quelle porzioni di paesaggio che prendono corpo grazie ad un senso dell’abitare aperto al dialogo e alle forme di condivisione con gli abitanti che li riconoscono nel loro esistere.

12.
Il teatro dovrà così sviluppare un nuovo contesto articolato in una geografia di spazi connessi e ritrovati, impegnandosi in un’opera di totale rinnovamento percettivo della produzione artistica, ampliando gli spazi della visione, della residenza e della trasmissione per creare una mappa inedita di spazi e professionalità.

13.
La residenza va qui intesa come un ampliamento del concetto di atelier e laboratorio. Ogni spazio destinato all’artista sarà anche laboratorio di esperienze rivolte ai cittadini. La residenza atelier diverrà il dispositivo per la cura di spazi nuovi – palestre, biblioteche, negozi sfitti, strutture da recuperare – e allo stesso tempo l’assimilazione di luoghi all’aperto – giardini, alberi, cortili, campetti e piste, piazze e orti, davanti alle facciate delle abitazioni, adiacenti a edicole, negozi di vicinato.

14.
L’articolazione di luoghi della visione secondo vari formati possono essere una grande opportunità per la città e le sue periferie. Partendo dai teatri, dai centri culturali, dagli spazi stessi delle residenze si dovranno predisporre altri spazi scelti che nel loro insieme costituiranno progetti ideati in ascolto delle diversità territoriali. Biblioteche, palestre, spazi abbandonati o sfitti, fondi in disuso e altri edifici sottoutilizzati, dovranno necessariamente dialogare con gli spazi all’aperto che comprendono sia luoghi apparentemente marginali come per esempio l’area sotto una chioma, una pista di pattinaggio o un prato abbandonato, ma anche spazi pubblici, piazze, giardini, strade con particolare attenzione, in questo momento, al senso della veduta. La veduta offre l’opportunità di predisporre il pubblico in un’area ampia per poter osservare la porzione di paesaggio scelta per l’evento: possiamo immaginarci gli argini di un fiume, l’avvistamento da un punto rialzato, lo scorcio di una strada.

15.
L’educazione e la trasmissione dei linguaggi simbolici dell’arte, supportati dal valore della memoria, dovranno essere dispositivi diffusi che assumono tipologie differenti da luogo a luogo. L’agire delle istituzioni culturali dovrà ripartire dalle persone per legare e connettere quelli che eravamo, i nostri comportamenti e le nostre abitudini a quelli che siamo chiamati ad essere con nuove esigenze e realtà. In questa chiave possiamo pensare alla vicinanza come una possibilità per scoprire lo spazio nel suo essere veicolo delle forme d’incontro. Gli spazi teatrali convenzionali istituiranno misure necessarie per curare la distanza del contatto, mentre altri luoghi potranno più direttamente recuperare il senso aptico della vicinanza. Sarà importante sviluppare pratiche e progetti rivolti alla percezione della densità spaziale, mantenendo fertile il nostro senso dell’incontro e del legame con l’altro, sviluppando ancor di più la tattilità pur senza toccare, implementando pratiche emozionali e comportamentali.

I contesti della trasmissione diventano in questo momento determinanti in quanto bacini di promozione del pubblico poiché riescono a entrare nelle dinamiche sociali e raggiungere un’ampia fascia di cittadini. Questi sono invitati ad agire attivamente nei loro luoghi tornando a frequentare le esperienze della visione. Sarà necessario fomentare la ricerca e lo studio delle pratiche di relazione e trasmissione, creare ponti di scambio e sostegno tra le arti visive, il teatro, la danza, la musica riportando l’attenzione al carattere evolutivo della relazione tra arte e scienze umane e sociali.

16.
L’obiettivo sarà quello di esercitarsi alla democrazia dell’agire e del pensare l’arte, elaborando forme di conoscenza che si sviluppano sulle esperienze cognitive e percettive intendendo lo spazio tattile, ovvero lo spazio intorno a noi, come ciò che ci comprende.

17.
I Centri Nazionali di produzione e tutte le istituzioni sensibili ad una nuova procedura di presenza e di produzione, dovranno sviluppare percorsi per la costruzione di un territorio composto da una mappa organica di spazi da attivare con artisti, cittadini, associazioni, istituzioni. Una disseminazione di funzioni che possa generare negli individui la fiducia, la relazione con l’altro e la comunità, stimolare a differenti forme di visione e d’incontro, far crescere il senso di responsabilità civile nel desiderio di costruire la città che viene.

18.
Con il Comune, la Regione e il Ministero sarà quindi necessario individuare modalità di regolamentazione per operare secondo questi principi. La strategia di recupero dovrà essere condivisa con le amministrazioni comunali per creare nuove forme di gestione e risanamento collettive.

19.
Le residenze artistiche, come le più diverse forme di produzione e di eventi diffusi nel territorio prescelto, dovranno essere riconosciuti dalle istituzioni in questione. La trasmissione e la formazione rivolta ai cittadini, ai giovani in collaborazione con le scuole pubbliche e private, rappresenteranno così un ventaglio di proposte che compongono e arricchiscono l’operare dei Centri nazionali di produzione.

20.
La nostra ripresa ci deve condurre alla scoperta di comportamenti che sappiano spostarci in una visione attuale del vivere la città e dell’agire secondo i principi di cui abbiamo parlato:
Cura del territorio.
Costruire la città che viene.
Relazione con l’aperto.
Abitare i gesti sorgivi delle azioni.
Rispetto della natura.
Contatto fisico con l’ambiente.
Fiducia nel ritrovato senso della frequentazione.
Comunità nella condivisione di azioni e pratiche.
Libertà di dialogo tra spazi al chiuso e all’aperto.
Memoria per ritrovarsi nei gesti e nelle azioni.
Distanza come soglia dello spazio tattile tra individui e natura.
Responsabilità nei comportamenti che richiedono attenzione e gentilezza.