Vivere, non sopravvivere

Uno spazio per il tentativo di capire, pensare, opporsi al sabba dei controllori, proibitori, puritani, moralisti, servi, e di tutta la varia umanità che sembra ubriacata dal vino andato a male del controllo totale.

È bene che qualcuno dica apertamente e a voce alta che vogliamo vivere, non sopravvivere.

Per la nostra specie, e per i corpi collettivi nei quali si organizza, vivere implica una serie di elementi ricchi, complessi, plurali. Fondamentale, necessario, condizione di ogni altro è l’elemento biologico. Da salvaguardare con tutti gli strumenti medici, politici, sociali che epoche e situazioni offrono. Ma non è sufficiente.

Necessario, appunto, ma non sufficiente. Vivere significa anche scambio con i propri simili, relazione con lo sconosciuto, incontro dei corpi nello spaziotempo, nell’ambiente, nel mondo.

La vita è movimento, scoperta, autonomia.

Vivere è non smarrire mai, e anzi moltiplicare, la dimensione simbolica, culturale, collettiva dello stare al mondo. Perché Homo sapiens è naturacultura che agisce nello spazio e nel tempo. Non è un software astratto, formale, disincarnato.

Se in situazioni di emergenza può essere necessario diminuire la potenza dell’incontro dei corpi, questo non può mai significare rinuncia alla vita umana che è, essenzialmente, vita politica, ricchezza simbolica fisica ed estetica dell’esistere. Ma è quanto sta accadendo ed è qui che abita il pericolo.

La morte per l’uomo non è soltanto decesso dalla vita, è il dissolversi del mondo.

I temi da cui iniziare:

  • chiusura e militarizzazione degli spazi pubblici, in primis i teatri ‘course!>> aggressione alla vita activa, e alla sua prima incarnazione: la ‘realtà aumentata’ che è il teatro;
  • estensione del principio di emergenza che giustifica ogni privazione della libertà (e ogni sterminio) per questioni igienico-sanitarie;
  • esternazioni e retoriche dell’ideologia della purezza sanitaria senza sentore della valenza ideologica della questione;
  • confusione tra la salute, intesa come pura integrità e assenza di contagi, e l’esercizio della pienezza della vita, che include, dall’Atene del V secolo in avanti, le funzioni civili e politiche;
  • se è vero che ‘il tempo è politica’ come insegna Gramsci, inneschi ansiogeni nella drammatizzazione degli annunci governativi: la sera, in narcisistica diretta, e così via…
  • totale assenza (almeno in Italia) di progetti di interventi reali ed efficaci: costruzioni di ospedali, soprattutto al sud; abolizione (non sospensione/procrastinazione) delle tasse e degli affitti; soluzione della vergognosa e imbarazzante situazione delle carceri;
  • criminalizzazione dei cittadini che non stanno a casa, targati come ‘irresponsabili’, ‘incoscienti’, ‘furbetti del coronavirus’;
  • pericolo (ora, ma soprattutto dal day after a seguire) di perpetrazione del crimine della riduzione delle libertà pubblica;
  • pericolo (ora, ma soprattutto dal day after a seguire) di annientamento finale delle ‘nostre scuole’: assimilazione delle lezioni (e seminari e discussioni) a distanza a quelle in presenza